Disuguaglianza salariale
Definizione
Nel linguaggio economico, il salario rappresenta la remunerazione del lavoro subordinato o indipendente, manuale o di concetto; oltre al salario dell’operaio e alla paga del bracciante, esso include lo stipendio dell’impiegato, l’onorario del professionista, il compenso per prestazioni artistiche e servizi personali, come pure il cosiddetto salario di direzione, cioè la parte di prodotto - da non confondere con il profitto - che spetta all’imprenditore per il lavoro da lui svolto nell’impresa (fonte: Treccani).
Il salario può essere espresso in termini nominali o reali: nel primo caso, corrisponde alla quantità di moneta che si ottiene quale corrispettivo del proprio lavoro; nel secondo, rappresenta la quantità di beni e servizi acquistabili con l’ammontare di moneta ricevuto (valore ricavabile dal confronto tra il salario nominale e il livello dei prezzi). Datore di lavoro e lavoratore possono pattuire che la retribuzione - fatti salvi i minimi salariali previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro - sia costituita, invece che da denaro, da prestazioni in natura (ad es. vitto e alloggio).
Secondo la teoria economica, in un mercato di concorrenza perfetta, le differenze nei salari sono di natura compensativa e riflettono i diversi livelli di competenza e abilità richieste da ciascun tipo di occupazione, oltre alle differenti condizioni di lavoro e del contesto economico e sociale. Al contrario, nelle forme di mercato imperfetto, è possibile che lavoratori con uno stesso tipo di occupazione e livelli identici di produttività ricevano salari di ammontare diverso.
Perché esiste la disuguaglianza salariale
Molte ricerche hanno mostrato che le diverse componenti del capitale umano, come l’esperienza e l’istruzione - caratteristiche a cui gli studi economici tradizionali imputano gran parte delle disparità salariali - spiegano una quota contenuta della varianza delle retribuzioni. Tali differenze sono il frutto di una molteplicità di fattori che includono, tra gli altri, sia l’intervento nel processo di contrattazione salariale delle varie istituzioni del mercato del lavoro, sia l’esercizio di un trattamento iniquo (AA.VV., 2016; Acemoglu e Autor, 2011; Bubbico et al., 2018; Franzini e Pianta, 2016; Ilo, 2016; Piketty, 2014).
Secondo l’ipotesi del cambiamento tecnologico, l’accentuarsi dei divari retributivi degli ultimi decenni riflette l’aumento della domanda di lavoratori con competenze molto specifiche, specialmente nei settori con forti innovazioni di prodotto. La domanda di lavoro si concentra, cioè, sui lavoratori con maggiore produttività che sono in grado di utilizzare le nuove tecnologie e ai quali, data la scarsa offerta disponibile, sono garantiti salari più elevati.
La crescita dei divari retributivi si lega inoltre all’elevata esposizione internazionale di alcuni settori di mercato (globalizzazione) che riduce la domanda e la capacità contrattuale dei lavoratori low skilled, di cui vi è ampia disponibilità a livello internazionale.
A favorire la polarizzazione dei salari è anche il processo di cosiddetta individualizzazione delle condizioni economiche e sociali, frutto dell’evoluzione dei rapporti di forza tra capitale e lavoro. Il cambiamento nelle istituzioni del mercato del lavoro ha determinato un minore grado di protezione dei lavoratori e una frammentazione delle figure contrattuali in forme di lavoro non standard (temporaneo e precario, lavoro solo apparentemente autonomo, esternalizzato, ecc.), da cui è derivato l’aumento delle disparità all’interno delle stesse tipologie di reddito e nell’ambito degli stessi gruppi sociali (disuguaglianza within).
Al rafforzamento delle disuguaglianze sociali, territoriali e fra categorie di occupati contribuisce anche lo sviluppo del welfare aziendale (fondi sanitari integrativi, programmi di pensioni complementari, asili nido aziendali, ecc.), fenomeno che si lega strettamente ai temi della produttività, delle scelte strategiche delle imprese, del ruolo dei sindacati e che asseconda le tendenze all’individualizzazione delle forme contrattuali di impiego. I sindacati spingono affinché i lavoratori possano giovarsi di servizi che compensino la perdita di potere d’acquisto, mentre le imprese alleggeriscono il costo del lavoro sfruttando le economie di scala e i vantaggi fiscali che si vengono a creare nella predisposizione di piattaforme di welfare aziendale (Pavolini, 2016).
Infine, molte ricerche hanno mostrato che le disparità salariali si associano in misura significativa all’origine familiare e alle reti di relazioni in cui è inserito ciascun gruppo retributivo. In questo caso, l'informazione imperfetta e i fenomeni discriminatori assumono un ruolo particolarmente importante, dando luogo a strutture retributive secondo la logica del mercato interno che spesso è del tutto estranea a valutazioni di carattere strettamente economico. In questo contesto, si ricordano due concetti ampiamente utilizzati dalla letteratura specifica: i) glass ceiling, per indicare una barriera che opera nella parte più alta della distribuzione dei salari, limitando l’accesso ai posti di lavoro meglio retribuiti all’interno delle imprese; ii) glass doors, riferendosi a una barriera che limita l’accesso dei lavoratori più svantaggiati alle imprese ad alto salario (Pendakur e Woodcock, 2010).
Alcune statistiche per l’Italia
In tutti i paesi industrializzati, la distribuzione dei salari mostra una lunga coda destra (quella dei più alti livelli salariali); pochi lavoratori ottengono infatti una quota molto elevata del totale delle retribuzioni erogate nel mercato del lavoro. Come si evince dalla distribuzione del salario orario riferito alle posizioni lavorative dei dipendenti nel settore privato (retribuiti almeno un’ora nell’anno in imprese extra-agricole), l’Italia non fa eccezione. Nel 2014, anno di riferimento dei dati diffusi grazie al nuovo Registro Annuale su retribuzioni, ore e Costo del Lavoro (RACLI) a livello di individuo e di impresa dell’Istat (Istat, 2016), la retribuzione oraria media delle posizioni lavorative è pari a 14,1 euro a fronte di un valore mediano di 11,2 euro, evidenziando una significativa dispersione salariale che si associa a una distribuzione non simmetrica (Figura 1). In particolare, il 10% delle posizioni (primo decile) presenta una retribuzione oraria uguale o inferiore a 8,1 euro, mentre, all’estremo opposto della distribuzione, il 10% delle posizioni lavorative con retribuzione oraria più elevata (nono decile) registra un valore di almeno 20,8 euro. Tale differenziale è dovuto in misura preminente a una maggiore dispersione delle retribuzioni più elevate. La differenza tra il nono decile e la mediana è pari infatti a 9,6 euro, mentre quella tra mediana e primo decile è pari soltanto a 3,1 euro.
Figura 1. Distribuzione delle posizioni lavorative per classi di retribuzione oraria. Anno 2014, classi di valori assoluti in euro(a) e frequenze percentuali
Note: (a) La coda destra della distribuzione è stata tagliata per favorire la leggibilità del grafico.
Fonte: Istat, Registro RACLI Anno 2014.
Negli ultimi decenni, a causa delle diverse forze che agiscono nel sistema economico, si è registrato un divario rilevante tra la dinamica della produttività e quella dei salari che ha contribuito all’aumento della disuguaglianza salariale, riflettendosi in maniera differenziata sui livelli retributivi nei diversi tipi di occupazione, imprese, settori e aree geografiche.
Tra il 1990 e il 2013, l’indice di Gini delle retribuzioni lorde annue del settore privato è aumentato del 17,5%, e tale incremento non è imputabile solamente ai cambiamenti nel numero di ore e settimane lavorate (ad es. per l’aumento del peso dei lavoratori con contratti “atipici”, a termine o part-time). L’indice è cresciuto, infatti, anche per le retribuzioni settimanali (+13,1%) e ancora di più se si considerano solo i lavoratori a tempo pieno (+15,2%), indicando quindi una dispersione nei salari orari crescente (Franzini e Raitano, 2016).
Con riferimento agli anni della crisi (2008-2013), la disuguaglianza è cresciuta del 4,1% nelle retribuzioni annue e dell’1,9% in quelle settimanali, mentre i differenziali retributivi fra i lavoratori a tempo pieno sono risultati in diminuzione (-0,5%). In questo quinquennio, l’indice di Gini delle retribuzioni lorde annue è aumentato in misura abbastanza importante in tutti i paesi dell’Unione Europea a 15, ad eccezione del Regno Unito e della Germania. Nel nostro Paese che, soprattutto per i salari dei lavoratori dipendenti, presenta una dispersione retributiva minore rispetto agli altri, la crescita del coefficiente di Gini si è attestata al 4,2% per i redditi da lavoro dipendente e al 5,9% se si aggiungono anche le retribuzioni del lavoro autonomo.
Le principali fonti dati
In Italia, le fonti di dati attualmente disponibili sulle retribuzioni sono molteplici e ognuna presenta specificità rispetto all’informazione rilevata.
Il valore dei redditi da lavoro dipendente è incluso nei Conti e aggregati economici nazionali annuali. In particolare, i redditi da lavoro dipendente sono ripartiti in: retribuzioni lorde (retribuzioni in denaro, retribuzioni in natura) e contributi sociali a carico dei datori di lavoro (contributi sociali effettivi, contributi sociali figurativi). Nella banca dati dell’Istat, I.STAT, i redditi da lavoro dipendente e le relative componenti sono pubblicati per branca d’attività, a livello annuale, trimestrale e territoriale (regionale).
Gli Archivi amministrativi INPS delle denunce retributive mensili (Emens) forniscono informazioni sulle retribuzioni imponibili previdenziali dei lavoratori dipendenti, contribuenti INPS, limitatamente al settore privato non agricolo e con esclusione dei lavoratori domestici. Alcuni indicatori prodotti grazie a questa fonte di dati (retribuzioni medie giornaliere, annue, ecc.) sono stati pubblicati nel data warehouse CoesioneSociale.Stat.
Il Registro annuale su retribuzioni, ore e costo del Lavoro (RACLI) è un registro statistico tematico sul mercato del lavoro all’interno del sistema dei registri dell’Istat. La popolazione di riferimento è rappresentata dall’insieme dei rapporti di lavoro (posizioni lavorative) regolati da un contratto di lavoro dipendente, tra una persona fisica e un’unità economica, appartenente al registro Asia-Imprese (settore privato extra-agricolo, sezioni di attività economica da B ad S della classificazione Ateco 2007) che deriva dall’integrazione di diverse fonti amministrative. La Statistica Report Istat (2016) riporta per la prima volta, grazie all’uso congiunto di dati provenienti da registri e indagini statistiche, analisi dettagliate sulla variabilità delle retribuzioni, legando le caratteristiche dell’impresa a quelle dei lavoratori dipendenti che vi operano e a quelle del rapporto di lavoro.
La Rilevazione sulla struttura delle retribuzioni e del costo del lavoro è un’indagine in due edizioni, entrambe regolamentate a livello Europeo (Regolamento del Consiglio 530/99 e relativi regolamenti attuativi) che si alternano ogni due anni, concentrandosi rispettivamente sulle componenti del costo del lavoro per impresa/istituzione (Labour Cost Survey – LCS) e sui differenziali retributivi per posizione lavorativa (edizione Structure of Earning Survey – SES). La popolazione di riferimento è costituita dalle posizioni lavorative retribuite sia dalle Imprese e Istituzioni Private sia dalle Istituzioni Pubbliche attive nell’industria, nei servizi orientati al mercato e nei servizi sociali e personali (sezioni Ateco 2007 da B ad S). La rilevazione italiana, condotta dall’Istat, copre anche la sezione O (Amministrazione pubblica e Difesa) opzionale per il regolamento europeo. La rilevazione è totale per le imprese con 250 dipendenti e oltre, mentre è campionaria per quelle che hanno un numero di dipendenti tra 10 e 249 (circa 21.000). Per il settore pubblico la rilevazione prevede l’utilizzo di dati amministrativi provenienti da fonti diverse.
La Rilevazione mensile sull’occupazione, le ore di lavoro e le retribuzioni nelle grandi imprese con almeno 500 dipendenti (nella media dell’anno base) interessa aziende che svolgono la loro attività economica in uno dei settori dell’industria o dei servizi distributivi e alle imprese (sezioni Ateco 2007 da B ad S). La rilevazione concorre insieme ad altre due rilevazioni trimestrali dell’Istat (Vela sui posti vacanti e le ore lavorate; Oros su occupazione, retribuzioni e oneri sociali) a determinare indicatori su input e costo del lavoro nelle imprese con dipendenti, fornendo numeri indici delle retribuzioni lorde (continuativa e totale) e del costo del lavoro corrispondenti alle effettive erogazioni mensili effettuate dalle imprese (criterio di cassa).
La Rilevazione Oros (occupazione, retribuzioni, oneri sociali), condotta trimestralmente dall’Istat, produce informazioni sull’andamento di occupazione, retribuzioni e oneri sociali nelle imprese con dipendenti. La popolazione oggetto della rilevazione è costituita da imprese e istituzioni private con dipendenti, di tutte le classi dimensionali, che hanno corrisposto nel trimestre di riferimento retribuzioni imponibili a fini contributivi e svolgono la loro attività economica nei settori dell’industria (sezioni di attività economica da B ad F della classificazione Ateco 2007) e dei servizi (sezioni da G a S ad esclusione di O).
La Rilevazione sulle retribuzioni contrattuali fornisce una misura delle variazioni dei compensi che spetterebbero, nell’arco di un anno, ai lavoratori dipendenti a tempo pieno, nel caso fossero presenti tutti i giorni per i quali la prestazione lavorativa è contrattualmente dovuta e per le ore previste. La rilevazione si riferisce a un collettivo di lavoratori costante e caratterizzato da una composizione fissa per qualifica e per livello di inquadramento contrattuale (base di calcolo). Ciò rende necessario un periodico cambiamento della base sia per tenere conto delle modifiche nella distribuzione dell’occupazione dipendente sia per migliorare la stima dei diversi elementi che contribuiscono a determinare il valore della retribuzione lorda contrattuale, come pure, per riesaminare l’insieme dei contratti seguiti. I dati sulle retribuzioni contrattuali e sugli orari di lavoro sono desunti dai contratti o accordi collettivi di lavoro, o da leggi e regolamenti che disciplinano la materia.
L’Istat produce due statistiche sulle retribuzioni contrattuali: l’indice mensile delle retribuzioni contrattuali (IRC) e i livelli della retribuzione contrattuale annua (RCA). IRC e RCA misurano le componenti retributive attribuibili esclusivamente alla contrattazione nazionale: sono così considerati importi tabellari e voci a carattere generale e continuativo quantificabili attraverso i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), comprese le mensilità aggiuntive.
Riferimenti bibliografici
- AA.VV. (2016), “Lavoro e disuguaglianza”, in S. Morelli (a cura di), Le disuguaglianze economico-sociali in Italia, 25-44, Roma, Fondazione Lelio e Lisli Basso.
- Acemoglu D. e D. Autor (2011), “Chapter 12 - Skills, Tasks and Technologies: Implications for Employment and Earnings”, in O. A. Shenfelter e D. Card (a cura di), Handbook of labor economics. Volume 4, Part B, 1043-1171, Amsterdam, North Holland.
- Bubbico D., J. Gräbener e P. Marcelino (2018), “L’organizzazione del lavoro nelle relazioni impresa-sindacato: trasformazioni delle condizioni di lavoro e intervento sindacale”, Sociologia del lavoro, 151, 7-20.
- Franzini M., Pianta M. (2016), “La disuguaglianza tra i redditi da lavoro”, pp. 59-63, in: Disuguaglianze: quante sono, come combatterle, Roma, Laterza.
- Franzini M., Raitano M. (2016), “La disuguaglianza dei redditi da lavoro”, Rivista delle Politiche Sociali, 3-4, 8-14.
- ILO (2016), Global Wage Report 2016/17 - Wage inequality in the workplace, Geneva, ILO.
- ISTAT (2016), Differenziali retributivi nel settore privato, Statistiche report del 30 dicembre 2016.
- Pavolini E. (2016), “Il welfare in azienda: suggerimenti per discuterne utilmente”, Menabò di Etica ed Economia, 36, 1 febbraio 2016.
- Pendakur K e S. Woodcock (2010), “Glass Ceiling or Glass doors? Wages Disparity Within and Between Firms”, Journal of Business &Economic Statistics, 28(1), 181-189.
- Piketty T. (2014), “La disuguaglianza dei redditi da lavoro”, in T. Piketty (a cura di), Il capitale nel XXI secolo, 465-515, Milano, Bompiani.
Suggerimenti di lettura
- Acemoglu D. e D. Autor (2011), “Chapter 12 - Skills, Tasks and Technologies: Implications for Employment and Earnings”, in O. A. Shenfelter e D. Card (a cura di), Handbook of labor economics. Volume 4, Part B, 1043-1171, Amsterdam, North Holland.
- Card D., A. R. Cardoso, J. Heining e P. Kline (2018), “Firms and Labor Market Inequality: Evidence and Some Theory”, Journal of Labor Economics, 36(1), 13-70.
- Dell’Aringa C., C. Lucifora e T. Treu (2017), Salari, produttività, disuguaglianze. Verso un nuovo modello contrattuale?, Bologna, Il Mulino.
- De Santis S., C. Freguja, A. Masi, N. Pannuzi e F. G. Truglia (2018), “Wages differentials in association with individuals, enterprises and territorial characteristics”, 49th Scientific meeting of the Italian Statistical Society, Palermo, 20-22 giugno.
- European Parliament, Directorate general for internal policies - Policy department A: economic and scientific policy (2014), Income Inequality: Wage Dispersion in the European Union, Brussels.
- La Rosa M., E. Morlicchio e S. Paugam (2016, a cura di), “Disuguaglianze oggi: quanto conta ancora l’occupazione”, Sociologia del lavoro, 144.
- Lazear E. P. e K. L. Shaw (2018), “Introduction: Firms and the Distribution of Income: The Roles of Productivity and Luck”, Journal of Labor Economics, 36(1), 1-12.
- Piketty T. (2014), “La disuguaglianza dei redditi da lavoro”, in T. Piketty (a cura di), Il capitale nel XXI secolo, 465-515, Milano, Bompiani.