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Sistemi pensionistici (caratteri generali)

Scritto da: Michele Raitano

 

Definizione

Il sistema pensionistico (o previdenziale) è un’istituzione delegata al compito di offrire un reddito alla popolazione anziana, che, per ragioni fisiche/anagrafiche, non è più in grado di procurarselo da sé mediante il lavoro.

In passato, fino alla fine del XIX secolo nella quasi totalità dei paesi più sviluppati, non emergeva il bisogno di creare un’apposita istituzione a tutela del reddito degli anziani per almeno due ragioni: la bassa aspettativa di vita media della popolazione che si accompagnava, generalmente, all’esistenza di famiglie patriarcali in cui convivevano individui di più generazioni. Era, dunque, chi lavorava all’interno della famiglia a farsi carico delle esigenze di chi fosse sopravvissuto fino ad età avanzate. La scomparsa della famiglia patriarcale, anche in seguito ai fenomeni di urbanizzazione, e la crescita imperiosa della durata media della vita hanno portato all’esigenza di dover prevedere un meccanismo formale di assicurazione dei redditi alla popolazione anziana.

I sistemi pensionistici sorgono, dunque, per assicurare gli individui contro il cosiddetto “rischio vecchiaia”, derivante dal fatto che gli anziani potrebbero ritrovarsi indigenti se non hanno risparmiato sufficientemente da giovani. L'adesione al sistema è obbligatoria perché gli individui non sono in grado di prevedere con esattezza i propri bisogni futuri e risparmiare adeguatamente: individui “miopi” non risparmierebbero da giovani a sufficienza per poter mantenere da anziani (quando non possono più lavorare) un adeguato tenore di vita. Secondo quest’ottica, le pensioni sono un bene meritorio: lo stato obbliga gli individui al risparmio per la terza età dal momento che, senza obblighi, gli individui, in tutta probabilità, realizzerebbero un livello di risparmio insufficiente (a causa di imperfetta informazione sulle necessità future; di comportamenti opportunistici del tipo “non risparmio tanto qualcuno poi penserà a me”; di sottovalutazione delle necessità future legata a tassi di sconto intertemporali particolarmente elevati).

Al di là della necessità di obbligare gli individui al risparmio per l’età anziana, non si rileva, né in letteratura, né dall’osservazione empirica, un unico possibile modello di sistema pensionistico. Gli obiettivi del sistema previdenziale possono riassumersi nell’offrire un reddito stabile e sicuro alla popolazione anziana, evitando, al contempo, di disincentivare le scelte individuali di risparmio e di lavoro della popolazione attiva, ma tali obiettivi possono essere perseguiti con molteplici modalità. Il concetto di reddito stabile e sicuro può, ad esempio, differenziarsi fortemente a seconda dei contesti. Si possono tutelare gli individui unicamente contro il rischio di povertà, limitandosi ad offrire prestazioni di importo contenuto e indipendente da quanto si è versato come contributi; alternativamente, si può assegnare al sistema un ruolo assicurativo, per garantire il tenore di vita che si aveva prima del pensionamento, offrendo prestazioni legate al precedente reddito lavorativo; o, ancora, si può affidare al sistema pensionistico il compito di realizzare il mero trasferimento di reddito fra le fasi della vita degli individui, prevedendo prestazioni strettamente commisurate ai contributi versati. Queste tre modalità di definizione delle prestazioni non sono poi alternative fra loro, dato che si possono definire prestazioni basate su una qualche integrazione fra tali modalità. In ambito di pensioni non si è poi in presenza di fallimenti del mercato tali da rendere impossibile un’offerta previdenziale privata; l’intervento pubblico, anziché concretarsi nella gestione del sistema pensionistico, potrebbe essere anche solo basato su una regolamentazione più o meno stringente del funzionamento dei fondi pensione privati.

I sistemi previdenziali sono, quindi, istituzioni complesse che possono differire lungo molteplici dimensioni. Una loro possibile tassonomia può essere definita a seconda della scelta che si compie riguardo a tre dimensioni fondamentali: i) il metodo di finanziamento della spesa, che attiene al modo in cui si reperiscono ogni anno le risorse per pagare le pensioni in essere; ii) il metodo di calcolo delle prestazioni; iii) l’istituzione che gestisce il sistema, che può essere lo stato o il mercato.

Lo specifico sistema pensionistico, e gli effetti che esso genera sulla sostenibilità della spesa per pensioni, sul funzionamento del sistema economico, sugli importi delle pensioni e sulla sicurezza di un reddito adeguato agli ex lavoratori, dipenderanno, dunque, dalle scelte che si compiono riguardo a queste tre dimensioni, che possono combinarsi in qualsiasi modo (come si può osservare anche confrontando le diverse caratteristiche dei sistemi pensionistici nei principali paesi occidentali).

 

Come si finanzia la spesa

La spesa annua per pensioni può essere finanziata secondo due modalità.

Nei sistemi a ripartizione ogni anno i lavoratori versano contributi (o imposte) che vengono trasferiti sotto forma di pensione alla generazione anziana; i contributi dei giovani servono, cioè, a pagare le pensioni degli anziani. A livello contabile, in ogni periodo di tempo c’è un trasferimento di reddito dai giovani agli anziani e emerge, quindi, un esplicito legame intergenerazionale.

Dal momento si basa su una promessa – verso contributi/imposte da giovane perché so che quando sarò anziano i futuri giovani verseranno anch’essi contributi/imposte con i quali mi verrà pagata la pensione –, la ripartizione può essere solo pubblica perché unicamente lo stato ha il potere coercitivo per garantire il soddisfacimento della promessa. Alternativamente, un sistema a ripartizione può essere gestito da privati (come alcune Casse previdenziali degli ordini dei liberi professionisti in Italia) solo in presenza di una forte regolamentazione pubblica sulla dinamica futura di entrate e uscite, che funge anche da garanzia implicita verso le prestazioni future. La ripartizione è molto attraente quando si vuole creare o ampliare un sistema previdenziale perché, trasferendo risorse degli attivi, permette di pagare immediatamente pensioni anche alla classe anziana che non aveva versato in precedenza contributi. In questo consiste il cosiddetto “regalo” alla prima generazione aderente a un sistema a ripartizione.

Nei sistemi a capitalizzazione i contributi versati dai lavoratori non vengono trasferiti agli anziani, ma sono accumulati in conti individuali (gestiti dal sistema pubblico o da fondi privati). Una volta raggiunta l’età pensionabile il lavoratore finanzierà la propria pensione mediante l’ammontare così accumulato; di fatto la capitalizzazione funziona come se ogni lavoratore mettesse obbligatoriamente da parte dei soldi che può poi riutilizzare mensilmente, sotto forma di rendita, solo una volta raggiunta l’età pensionabile.

Nella realtà, essendo impossibile a causa dell’inflazione tenere da parte i propri contributi in un salvadanaio, gli individui (o i fondi pensione per conto loro) devono acquistare da giovani titoli che venderanno una volta che andranno in pensione. Se si crea un sistema a capitalizzazione, in assenza di sistema pensionistico, non si genera un “regalo” per gli attuali anziani, ma, essendo i contributi dei giovani accumulati e non trasferiti al consumo degli anziani, la capitalizzazione permette di creare uno stock di risparmio. Tuttavia, nel caso in cui si intenda passare dalla ripartizione alla capitalizzazione si genera il “costo di transizione” del dover pagare le pensioni promesse a chi da giovane ha versato contributi aspettandosi di ricevere poi una pensione pagata dai futuri giovani. Se il sistema muove verso la capitalizzazione i contributi dei futuri giovani saranno infatti accumulati per finanziare la loro pensione e non verranno più trasferiti agli anziani. Da qui sorge il costo di transizione che può essere finanziato riducendo (almeno in parte) le pensioni promesse in passato agli anziani, con un aumento delle imposte (caricando cioè i giovani anche del finanziamento di tali promesse) o emettendo debito pubblico.

 

Come si calcolano le prestazioni

La prestazione pensionistica cui ha diritto il lavoratore può essere calcolata in base a due modalità.

Negli schemi a contribuzione definita si stabilisce con certezza l’ammontare dei contributi da versare e non l’entità della prestazione, che dipende da quanto si è versato e dal tasso di rendimento incerto che viene corrisposto sui versamenti contributivi. Tradizionalmente nei sistemi a contribuzione definita, spesso applicati nei sistemi a capitalizzazione (come nei fondi pensione privati in Italia), i contributi sono investiti sul mercato e la pensione dipende dall’andamento dei titoli in cui si investe.

Negli ultimi anni in alcuni paesi, tra cui l’Italia con la riforma del 1995, all’interno dello schema pubblico a ripartizione sono stati introdotti i cosiddetti schemi a contribuzione definita nozionale (NDC – notional defined contribution, in Italia detto “contributivo”), che sono schemi a contribuzione definita nei quali il saggio di rendimento offerto sui contributi non è dato dal tasso conseguito sul mercato – essendo lo schema a ripartizione i contributi non sono investiti –, ma dall’andamento di variabili macroeconomiche che si usano come tasso di rendimento “nozionale” (figurativo) da applicare sui contributi versati (in Svezia e Italia basato, rispettivamente, sul tasso di crescita della massa salariale e del PIL nominale).

Uno schema è invece a prestazione (o beneficio) definita se l’incertezza della pensione riguarda solo la futura carriera individuale, ma non variabili esogene rispetto all’individuo (come la crescita del PIL o il rendimento dei mercati finanziari). È ad esempio a prestazione definita uno schema in cui la pensione sia una certa percentuale prestabilita del salario di fine carriera, o in cui i contributi sono versati sul mercato (se il finanziamento è a capitalizzazione) ma sui versamenti è applicato un tasso di rendimento prestabilito e certo. Ancora, uno schema di pensione di base – ad esempio una prestazione flat rate basata unicamente su età o anni di lavoro – è da includere fra quelli a beneficio definito. Fino alla riforma del 1995 in Italia le pensioni venivano calcolate in base a una formula a benefici definiti – detta “retributiva” – in cui l’entità della pensione era basata su una media delle retribuzioni di fine carriera e sul numero di anni di versamento dei contributi.

Una dimensione cruciale attiene peraltro alla definizione dell’età pensionabile e ai requisiti per accedere a forme di pensionamento anticipato. Oltre che influenzare il benessere socio-economico degli individui costretti a rimanere al lavoro ad età anziane, l’età pensionabile influenza la ricchezza pensionistica che ci si attende di ricevere nel corso della vita da pensionato. Laddove la formula di calcolo della pensione non tenga conto dell’età a cui ci si ritira, poter andare in pensione prima incrementa la ricchezza pensionistica attesa nel corso della vita. Se la formula di calcolo non tiene conto di ciò, se cioè la pensione non aumenta proporzionalmente per il motivo che la si riceverà per un numero inferiore di anni, continuare a lavorare una volta che si siano raggiunti i requisiti per il pensionamento costituisce una “tassa implicita”: a fronte dell’eventuale maggior salario che si ottiene continuando a lavorare, si perde ricchezza pensionistica e tale perdita costituisce la “tassa implicita” alla prosecuzione dell’attività.

 

Chi gestisce il sistema

Sebbene sovente si evidenzino i pregi del sistema pubblico e segnalino che gli schemi privati, soprattutto se poco regolamentati, possono risultare iniqui e inefficienti, il sistema pensionistico può essere gestito sia dallo stato che dal mercato, dato che – in presenza di opportuna regolamentazione pubblica – non si è in presenza di fallimenti del mercato tali da rendere impossibile sul mercato un’offerta previdenziale privata.

La divisione fra sistema pubblico e privato non è, in realtà, così netta come potrebbe apparire a prima vista. Da un lato, infatti, può essere ben diverso l’impatto e la dimensione del settore pubblico, che ad esempio può limitarsi a fornire una pensione di base per tutti, o può prevedere elevati contributi e alte pensioni legate anche alla carriera lavorativa individuale, e questo influenza lo spazio che si offre a forme di previdenza complementari private. Dall’altro, il tipo di sistema privato può concretarsi in forme molteplici, dipendenti anche dal tipo di regolamentazione pubblica. A conferma di ciò, in molti casi (ad esempio nei paesi scandinavi e in quelli anglosassoni), si realizzano sistemi misti, in cui i lavoratori versano contributi sia allo schema pubblico sia a fondi privati (fortemente regolamentati soprattutto nei paesi scandinavi), mentre in gran parte dei paesi latinoamericani l’intervento pubblico si limita a una blanda regolamentazione dei fondi pensione privati e all'offerta di una prestazione di importo molto basso per gli indigenti.

Semplificando, gli schemi privati possono essere distinti in 2 principali categorie: fondi occupazionali e personali (simili alla distinzione italiana fra fondi pensione chiusi e aperti).

Nei fondi occupazionali l’adesione dei lavoratori è vincolata allo status lavorativo (ad esempio, solo i lavoratori metalmeccanici possono partecipare al fondo pensione cogestito da imprese e sindacati del settore metalmeccanico) ed i fondi sono gestiti a livello di impresa o settore. Possono aderirvi unicamente i lavoratori del settore o impresa che lo gestisce e l’entità della contribuzione di lavoratori e datori è fissata in sede di accordo collettivo. Dal momento che la possibilità di adesione è legata allo status lavorativo, i fondi occupazionali non competono fra loro per attrarre iscritti e, rispetto ai fondi personali, sono, di conseguenza, minori le spese di marketing e i costi amministrativi. I costi amministrativi sono di solito minori di quelli dei fondi personali anche perché, essendo di solito di dimensioni maggiori, i fondi occupazionali possono imputare su un maggior numero di iscritti i costi fissi della loro attività.

Nei fondi personali l’adesione dei lavoratori non è vincolata allo status occupazionale. Gli individui sono liberi di decidere a quale fondo aderire e i fondi, gestiti solitamente da banche, assicurazioni, società di gestione del risparmio, concorrono sul mercato per attrarre iscritti. L’entità della contribuzione è (almeno in parte) decisa liberamente dal lavoratore e, essendo svincolati dal rapporto di lavoro, non è generalmente previsto un versamento del datore.

 

Suggerimenti di lettura

  • Barr N. e P. Diamond (2009), Reforming Pensions: Principles and Policy Choices, Oxford, Oxford University Press.
  • Clark G., A. Munnell, M. Orszag (2006), The Oxford Handbook of Pensions and Retirement Income, Oxford, Oxford University Press.
  • Orszag P. e J. Stiglitz (2001), "Rethinking Pension Reform: Ten Myths About Social Security Systems", in R. Holzmann e J. Stiglitz (a cura di), New Ideas About Old Age Security, Washington, The World Bank.
Michele Raitano
Michele Raitano è Professore Associato di Politica Economica nel Dipartimento di Economia e Diritto della Sapienza, Università di Roma e membro della Redazione del “Menabò di Etica e Economia. Ha recentemente pubblicato, con Maurizio Franzini e Elena Granaglia, "Dobbiamo preoccuparci dei ricchi? Le disuguaglianze estreme nel capitalismo contemporaneo", Il Mulino, 2014.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena