Famiglia

In ogni società conosciuta ed in ogni epoca troviamo forme di regolazione dei rapporti di sesso, di generazione e tra le generazioni. In particolare ogni società regola i rapporti di filiazione, ovvero a chi appartengono i figli, a chi è concesso avere figli e quindi quale è lo statuto di chi viene al mondo a seconda che la generazione avvenga o meno secondo le norme socialmente stabilite. Ma ciò avviene ed è avvenuto in modi così differenti nelle diverse società e epoche storiche che è impossibile non solo ricostruire una vicenda unitaria di trasformazioni, all’interno della quale rintracciare il filo unitario della famiglia, ma individuarne il nocciolo duro, persistente al di là delle variazioni storiche e sociali. 

I temi specifici identificati a tal proposito sono riconducibili a:

• economia famigliare/divisione delle risorse;

• rapporti di genere; 

• lavoro di cura e domestico;

• comportamenti riproduttivi;

• stabilità/instabilità matrimoniale.

In ogni società conosciuta ed in ogni epoca troviamo forme di regolazione dei rapporti di sesso, di generazione e tra le generazioni. In particolare ogni società regola i rapporti di filiazione, ovvero a chi appartengono i figli, a chi è concesso avere figli e quindi quale è lo statuto di chi viene al mondo a seconda che la generazione avvenga o meno secondo le norme socialmente stabilite. Ma ciò avviene ed è avvenuto in modi così differenti nelle diverse società e epoche storiche che è impossibile non solo ricostruire una vicenda unitaria di trasformazioni, all’interno della quale rintracciare il filo unitario della famiglia, ma individuarne il nocciolo duro, persistente al di là delle variazioni storiche e sociali.
Ovvero non è possibile individuare una sorta di «famiglia naturale», o fondata sulla natura umana, di cui le evidenze storiche e sociali rappresenterebbero delle semplici declinazioni. Al contrario, la storia umana presenta un pressoché inesauribile repertorio di modi di organizzare e attribuire significato alla generazione e alla sessualità, alla alleanza tra gruppi e a quella tra individui – di costruire, appunto, famiglie sia dal punto di vista delle unità di convivenza che dal punto di vista delle parentele. Poligamia, poliginia e monogamia, patrilinearità e matrilinearità, nuclearità o complessità delle unità di convivenza: sono solo alcune delle forme in cui si sono organizzati i rapporti di sesso e generazione socialmente riconosciuti e in cui hanno trovato collocazione paternità, maternità, filiazione, appartenenze generazionali, diritti e doveri, con un legame spesso molto tenue, quando non assente, con i fatti biologici.
Lungi dal riconoscere e dare forma giuridica ad una  «natura che esiste là fuori», quindi, le norme - sociali, religiose, giuridiche - oggi come sempre «costruiscono» la famiglia. Sono le norme che definiscono di volta in volta che cosa della  «natura» è considerato socialmente legittimo (ad esempio la procreazione entro il matrimonio, la eterosessualità coniugale) e ciò che non lo è (ad esempio la procreazione fuori dal matrimonio, fuori dal rapporto di coppia eterosessuale stabile, l’omosessualità), ciò che - «naturale», ma anche esplicitamente artificiale (l’adozione, o, per la legge italiana l’inseminazione artificiale cosiddetta «omologa») - costituisce una famiglia e ciò a cui invece si nega questo riconoscimento.
Anche nel circoscritto ambito delle società occidentali sviluppate contemporanee, che pure condividono molti tratti comuni, si possono riscontrare forti differenze nei modi di regolare e riconoscere i rapporti famigliari: nella maggiore o minore facilità con cui si può ottenere un divorzio, nella durata ed estensione delle obbligazioni, soprattutto economiche, tra le generazioni, nel grado di riconoscimento delle relazioni di coppia eterosessuali non basate sul matrimonio e delle coppie omosessuali, nelle norme sulla adozione così come in quelle sulla fecondazione assistita e così via. Queste differenze sono riscontrabili sia nel diritto civile che nel diritto della sicurezza sociale ed hanno conseguenze sulle stesse politiche sociali oltre che sulle forme della disuguaglianza. La persistenza di differenze culturali e normative circa ciò che costituisce una famiglia è testimoniata dalla stessa difficoltà a trovare una definizione univoca a livello statistico tra i diversi paesi, nonostante le indicazioni sia dell’ONU che di Eurostat.
Alle differenze nelle forme di regolazione sociale e giuridica si sovrappongono quelle legate alle circostanze di vita e alla collocazione nella stratificazione sociale.
La novità dell’epoca contemporanea, quindi, non sta tanto nella varietà dei modi di fare famiglia, quanto nel fatto che questa varietà è spesso presente, esplicita, rivendicata come legittima, all’interno di una stessa società, vuoi perché i fenomeni migratori rompono le omogeneità date per scontate di una società, vuoi perché la competizione su chi abbia titolo a definire ciò che è legittimo e ciò che non lo è vede in campo nuovi attori – dai movimenti ai singoli cittadini.
Occorre inoltre distinguere tra famiglia intesa come unità di convivenza e famiglia come gruppo dei parenti più stretti, non necessariamente conviventi. In molte lingue, in effetti, le due accezioni sono distinte anche terminologicamente, indicando la prima come household, Haushalt, menage e così via, e mantenendo il termine famiglia per indicare la cerchia di coloro con i quali gli scambi sono più frequenti e la solidarietà percepita e agita più intensa. Anche in questo caso la ricerca sia storica che sociale segnala come i rapporti con i parenti stretti e le reti parentali abbiano avuto ed abbiano una densità ed una rilevanza molto diversa da una società all’altra.
Anche la demografia ha il suo ruolo nel differenziare le famiglie, sia che si consideri la composizione delle unità di convivenza o che invece si consideri la composizione delle parentele. Alle famiglie ampie nella dimensione orizzontale, con tanti figli ma pochi anziani, di una volta, si contrappongono oggi nelle società sviluppate le famiglie in cui un solo figlio fronteggia quasi sempre due e spesso anche tre generazioni più vecchie di lui/lei avendo viceversa pochi o punto cugini. Ciò modifica radicalmente l’esperienza, oltre che la durata, di essere figlio o genitore. E se in alcune società in via di sviluppo è ancora frequente il rischio di divenire orfani di almeno un genitore prima di diventare adulti, nelle società sviluppate è divenuta diffusa l’esperienza di perdere la convivenza regolare con un genitore nonostante questi sia ancora in vita.
Ma i modi di normare e fare la famiglia non differenziano solo epoche storiche, società, gruppi sociali. Differenziano anche l’esperienza di coloro da cui è costituita: dei sessi e delle generazioni. Unità dei diversi in misura probabilmente maggiore a qualsiasi altra istituzione sociale, la famiglia è anche il luogo sociale e simbolico in cui la differenza, in particolare la differenza sessuale, è assunta come fondante e contemporaneamente costruita come tale e spesso trasformata in disuguaglianza, con, o anche senza, l’avallo delle norme giuridiche. Luogo in cui i due sessi si incontrano e convivono, la famiglia è infatti anche lo spazio storico e simbolico nel quale, e a partire dal quale, si dispiega la divisione del lavoro, degli spazi, delle competenze, dei valori, dei destini personali di uomini e donne, anche se ciò assume forme diverse nelle varie società. È innanzitutto a livello della famiglia che l’appartenenza sessuale diviene un destino sociale, implicitamente o esplicitamente normato, e che viene collocata entro una gerarchia di valori, potere, responsabilità. Anche nelle società democratiche sviluppate, la diversa responsabilità attribuita alle donne e agli uomini rispetto al lavoro (non pagato) famigliare e di cura produce disuguaglianze nella possibilità di accedere al e stare nel mercato del lavoro, quindi nella possibilità di mantenere una autonomia economica, senza che venga riconosciuto il valore – sociale ma anche economico - del lavoro familiare (domestico e di cura) effettuato. Ciò si traduce in maggiori rischi di povertà per le donne (e indirettamente per i bambini) nel caso di fine di un matrimonio ed anche in vecchiaia. Anche se questi rischi non hanno la stessa intensità in tutti i paesi stanti le diverse culture familiari e di genere, quindi i diversi tassi di occupazione femminile. Parallelamente gli uomini, o meglio i padri, corrono maggiori rischi di perdita dei rapporti con i figli e di isolamento in età anziana nel caso di divorzio.
La diversa collocazione di mariti, mogli, figli nell’economia della famiglia ha motivato una riflessione critica sull’uso del riferimento al reddito familiare equivalente come indicatore adeguato delle risorse effettivamente disponibili a ciascun componente. Una analoga riflessione critica viene sviluppata nei confronti di una analisi della stratificazione sociale che attribuisca a tutti i componenti di una famiglia vuoi la posizione del capofamiglia (solitamente il marito-padre), vuoi quella dominante.
Infine, l’appartenenza famigliare costituisce uno dei principali meccanismi di trasmissione della disuguaglianza sociale da una generazione all’altra, quindi anche di consolidamento delle disuguaglianze sociali. Ciò avviene sia perché le famiglie possono offrire ai più giovani risorse e opportunità diverse a seconda della loro propria collocazione sociale, sia perché gli adulti tendono a trasmettere i modelli di comportamento, i sistemi di priorità, i tipi di motivazione e così via che hanno acquisito nella loro propria esperienza. Ciò spiega perchè anche nelle società democratiche e formalmente aperte l’origine familiare segni ancora fortemente il destino sociale delle generazioni più giovani. Tale trasmissione della disuguaglianza tuttavia è tanto più forte quanto più lunga ed esclusiva è la dipendenza economica e nelle chances di vita dei giovani dalle loro famiglie di origine, e tanto più fragili o limitate sono le opportunità e i diritti cui hanno accesso come individui.