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Mobilità reddituale

Scritto da: Francesca Subioli

 

Definire la mobilità reddituale

La mobilità reddituale, intesa in senso intragenerazionale come i movimenti di reddito nel tempo all’interno di una stessa generazione di individui, è un concetto diverso ma complementare rispetto alla disuguaglianza.  Gli indicatori di disuguaglianza reddituale sono solitamente calcolati sulla distribuzione dei redditi in un certo istante temporale, tipicamente su redditi annuali. Anche misurando la disuguaglianza in più momenti successivi per studiarne l’evoluzione temporale, non è possibile con gli indici tradizionali tenere conto delle traiettorie reddituali sottostanti. Come caso estremo, si pensi a una popolazione composta nell’anno 1 da due individui, uno ricco e uno povero, che si scambiano di reddito nell’anno 2; un classico indice di disuguaglianza come il Gini calcolato all’anno 1 e poi all’anno 2 restituirebbe esattamente lo stesso valore di disuguaglianza, pur essendo la distribuzione all’anno 2 l’inverso della precedente in termini di posizioni relative dei due individui.

Come sottolinea il rapporto dell’OCSE del 2018 “A Broken Social Elevator? How to Promote Social Mobility”, due società con lo stesso livello di disuguaglianza ma diversi livelli di mobilità sottostante affrontano sfide diverse dal punto di vista della policy: una cosa è pianificare politiche rivolte a ridurre disuguaglianze provvisorie, dovute a eventi contingenti, altro è intervenire in una società in cui le differenze tra i redditi delle persone sono costanti lungo tutto l’arco della vita, o per buona parte di essa. Il primo caso potrebbe essere affrontato con meccanismi di tipo assicurativo, mentre il secondo richiederebbe politiche più strutturali che agiscano sui meccanismi di formazione del reddito medio degli individui e delle famiglie.

Jenkins (2011) adotta l’efficace immagine del palazzo per visualizzare la mobilità: immaginiamo di posizionare ogni persona in un piano di un edificio in base a dove si trova nella distribuzione del reddito in un anno. Non può essere indifferente per il decisore pubblico se chi si trova in un piano rimane lì per tutta la vita, o se alcuni piani si svuotano a favore di altri, o se da un anno all’altro le posizioni si scambiano – alcuni salgono, altri scendono. In un edificio in costruzione, inoltre, è possibile che nuovi piani vengano costruiti aumentando le possibilità di ascesa – come avviene in una economia che cresce. Il dibattito sull’accettabilità delle disuguaglianze, quindi, e sulle politiche per affrontarle, non può prescindere dalla conoscenza della mobilità reddituale che caratterizza una società. La letteratura empirica ha dimostrato, per il momento, che non sembra esserci associazione tra un maggiore livello di disuguaglianza annuale e una maggiore mobilità, né nel confronto tra paesi né in quello temporale, smentendo l’esistenza di un meccanismo di compensazione di un alto livello di disuguaglianza con un alto livello di mobilità.

La mobilità di reddito non coincide con la mobilità sociale tout court, ma è una parte di essa, perché si focalizza esclusivamente sul reddito senza tenere conto dell’effettivo cambiamento di status nella società, che può dipendere anche da altri fattori come l’occupazione, il livello di istruzione, la ricchezza. Mentre nel contesto intergenerazionale – tra genitori e figli – maggiore mobilità reddituale è naturalmente associata a un più alto livello di uguaglianza di opportunità, nel contesto intragenerazionale non è chiaro se e perché si dovrebbe desiderare un maggior livello di mobilità (Jenkins, 2011). Da un lato, essa può compensare la disuguaglianza rendendola transitoria, o permettere anche a chi parte da una posizione di svantaggio di migliorare la propria condizione, o evitare situazioni di povertà persistente con tutte le sue conseguenze in termini di esclusione sociale. Tuttavia, dal punto di vista del benessere individuale, molta mobilità vuol dire anche frequenti movimenti reddituali, positivi e negativi, e può essere motivo di insicurezza e precarietà per gli individui e le famiglie che non hanno la possibilità o le competenze per prevenire e affrontare gli shock. È noto, infatti, che sono proprio le famiglie a più basso reddito che faticano a risparmiare e che non riescono ad accedere al credito. A questo proposito, il rapporto OCSE (2018) mette in guardia i decisori politici sull’esistenza della “mobilità disuguale”, ovvero di movimenti reddituali frequenti e non previsti combinati con bassa crescita e concentrati nei gruppi più vulnerabili della società.

 

Misurare la mobilità reddituale

Gli indici di mobilità reddituale all’interno della stessa generazione si dividono in diverse macrocategorie, a seconda dell’oggetto dello studio e dell’orizzonte temporale considerato (si veda Jäntti e Jenkins, 2014 per una rassegna completa). Gli studi che confrontano il reddito al tempo 1 con il reddito al (successivo) tempo 2 sono studi bi-periodali, mentre quelli che analizzano tutti i movimenti di reddito intercorsi tra il tempo 1 e il tempo 2 sono studi di dinamica. Entrambe le analisi richiedono dati di tipo longitudinale, ovvero informazioni sugli stessi individui o famiglie in più punti nel tempo. Inoltre, più aumenta la distanza temporale tra il primo e l’ultimo punto di osservazione, più l’analisi passa dal breve al lungo periodo.

La letteratura specialistica ha elaborato quattro principali categorie di mobilità di reddito intragenerazionale: le prime due categorie nascono dalla distinzione tra mobilità in senso relativo (di posizione rispetto agli altri) e in senso assoluto (nel proprio livello di reddito). Rifacendoci all’immagine del palazzo proposta da Jenkins, parliamo di mobilità relativa quando misuriamo l’intensità degli scambi di persone o nuclei familiari tra i vari piani del palazzo, fissati il numero di piani e la loro altezza. Tipicamente, la mobilità relativa viene misurata dividendo le due distribuzioni di reddito, al tempo 1 e al tempo 2, in un numero costante di gruppi, ad esempio quintili, e calcolando la percentuale di individui o famiglie che cambia gruppo da un anno all’altro. Rientra in questo concetto di mobilità il focus sui due estremi della distribuzione che misura quanto è difficile uscire dal quintile più povero e da quello più ricco. Si parla in questo caso di sticky floors e sticky ceilings - pavimenti e soffitti “adesivi” da cui è difficile spostarsi. Lo studio dell’OCSE (2018) rivela che tra il 2011 e il 2014, in media il 60% di chi si trova nel 20% più povero della popolazione rimane lì dopo quattro anni, e il 40% anche dopo nove, mentre del 20% più ricco, addirittura il 70% è ancora tra i più ricchi dopo quattro anni, e il 30% dopo nove. I “pavimenti adesivi” impediscono a chi è nella coda della distribuzione di migliorare la propria condizione relativa, mentre i “soffitti adesivi” consentono a chi è più in alto di mantenere il proprio vantaggio.

Mobilità in senso assoluto, invece, è un cambiamento delle posizioni delle persone nel “palazzo dei redditi” quando le dimensioni stesse del palazzo possono cambiare. Un modo tipico di misurare la mobilità in questo senso è utilizzando la crescita media percentuale dei redditi delle persone o delle famiglie da un anno a un altro. Per distinguere questo concetto di mobilità dal precedente, si pensi al caso astratto di un boom economico di cui tutti beneficino in egual misura in percentuale del loro reddito di partenza: per tutti il reddito aumenta da un anno all’altro, ma nulla cambia nelle posizioni relative, come se tutti si fossero trasferiti in un palazzo situato più in alto, ma ognuno avesse mantenuto il proprio piano. Tra i due estremi, ci sono tutte le possibili situazioni intermedie in cui la mobilità determina sia crescita o decrescita dei redditi sia scambi di posizione.

Un terzo concetto di mobilità nasce dal legame tra i movimenti di reddito e la disuguaglianza: si calcola la mobilità in modo indiretto come frazione della disuguaglianza trasversale (anno per anno) che “scompare” se calcolata sul reddito medio di un periodo temporale più ampio. La natura delle carriere lavorative, che solitamente prevedono un salario crescente con l’età e l’esperienza, gli eventi familiari come la formazione o dissoluzione di un nucleo familiare o la nascita di un figlio, ma anche eventi imprevisti come la perdita del lavoro o il sopraggiungere di una malattia, sono tutti fattori che rendono il reddito “puntuale”, osservato in un anno specifico, più alto o più basso di quello “permanente”: quest’ultimo, infatti, tende ad attenuare le fluttuazioni temporanee e a restituire una misura complessiva del benessere economico di una persona o del suo nucleo familiare. Dalle analisi empiriche (Burkhauser e Couch, 2009, per una rassegna, OCSE, 2018, per analisi più aggiornate) risulta che la disuguaglianza si riduce fino al 40% per effetto della mobilità all’aumentare del numero anni utilizzati per calcolare il reddito permanente. Il 60% della disuguaglianza trasversale, tuttavia, rimane anche in termini di reddito permanente, rivelando la natura perlopiù persistente della disuguaglianza.

Infine, un quarto concetto di mobilità coglie maggiormente la dinamica dei redditi nei singoli anni scomponendo i redditi annui in una componente permanente, prevedibile e sensibile solo a shock di lungo periodo, e una componente transitoria, imprevedibile e destinata a riassorbirsi in poco tempo. La mobilità, in questo caso, è misurata come la frazione di disuguaglianza che deriva dalla variabilità delle componenti transitorie del reddito, perché il resto della disuguaglianza è legato a differenze persistenti e dunque non influenzate dalla mobilità. Questo concetto è quello che più sottolinea l’aspetto negativo della mobilità, quello legato a frequenti fluttuazioni di reddito.

 

Riferimenti bibliografici

  • Burkhauser R. e K. Couch (2009), Intragenerational inequality and intertemporal mobility, in W. Salverda, B. Nolan e T.M. Smeeding (a cura di), The Oxford Handbook of Economic Inequality, 522-546, Oxford, Oxford University Press.
  • Fields G.S. e E.A. Ok (1999), The measurement of income mobility: an introduction to the literature, in J. Silber (a cura di), Handbook of income inequality measurement, 557-598, Dordrecht, Springer.
  • Jäntti M. e S.P. Jenkins (2014), Income Mobility, in A.B. Atkinson e F. Bourguignon (a cura di), Handbook of Income Distribution, Volume 2A, 807-935, Amsterdam, North-Holland.
  • Jenkins S.P. (2011), Changing fortunes: Income mobility and poverty dynamics in Britain, Oxford, OUP Oxford.
  • OECD (2018), A Broken Social Elevator? How to Promote Social Mobility, Paris, OECD Publishing.

 

Suggerimenti di lettura

  • Jäntti M. e S.P. Jenkins (2014), Income Mobility, in A.B. Atkinson e F. Bourguignon (a cura di), Handbook of Income Distribution, Volume 2A, 807-935, Amsterdam, North-Holland.
  • OECD (2018), A Broken Social Elevator? How to Promote Social Mobility, Paris, OECD Publishing.
  • Subioli, F., e Raitano, M. (2022), Differences set in stone: evidence on the inequality-mobility trade off in Italy, Working Papers 633, ECINEQ, Society for the Study of Economic Inequality.
Francesca Subioli
Francesca Subioli è dottoranda di ricerca in Economia politica presso il Dipartimento di Economia e Diritto dell’Università La Sapienza di Roma. Si occupa di disuguaglianze socio-economiche, mobilità intragenerazionale e intergenerazionale e polarizzazione dei redditi.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena