Long-term care
Definizione
La long-term care (o politica di assistenza continuativa) è un’area di policy recente se comparata ad altre politiche sociali, come le politiche pensionistiche e quelle passive per il lavoro. Le misure di long-term care indicano l’insieme di trasferimenti monetari e servizi reali di tipo sanitario, sociosanitario e assistenziale volto ad assistere le persone con limitazioni funzionali (invecchiamento, cronicità, multimorbidità, disabilità fisiche e psichiche) nella loro capacità di prendersi cura di sé stessi e di interagire con gli altri (OCSE, 2021). L’assistenza continuativa si traduce dunque nell’erogazione di cure durature (cfr. long-term, con un arco temporale superiore almeno ai sei mesi o per l’intero ciclo di vita) a favore di individui - minori, adulti e anziani - in una condizione di grave perdita dell’autonomia. Nel dettaglio, gli interventi di assistenza continuativa sono volti a soddisfare le attività di vita quotidiana (ad esempio, le attività di cura personale, come lavarsi e vestirsi) e i compiti il cui svolgimento permette di poter vivere in modo indipendente nella comunità, quali la spesa, le pulizie e la preparazione dei pasti.
Le misure di long-term care possono diversificarsi a seconda di quattro dimensioni-chiave:
- l’eleggibilità alle cure: aldilà della presenza conclamata di una condizione di non autosufficienza, l’accesso alle misure di long-term care può essere di tipo residuale, universalistico o misto. Il primo caso si registra ove l’accesso è sottoposto alla prova dei mezzi, al compimento di una certa età anagrafica e al raggiungimento di un alto grado di non autosufficienza. È il caso, ad esempio, di alcuni Paesi dell’Est Europa (es. Croazia e Bulgaria). I sistemi universalistici consentono la fruizione a tutti i cittadini, senza nessun vincolo di accesso alle misure. È il caso dei Paesi nordici e di alcuni Stati continentali, come la Germania e l’Austria. Il sistema misto (accesso residuale ad alcune misure e universalistico per altre) caratterizza Italia, Spagna e Francia;
- gli strumenti: servizi reali e trasferimenti monetari. I primi si riferiscono ad interventi sanitari, sociali e assistenziali, di tipo pubblico o privato, presso strutture residenziali o il domicilio (vedi infra, punto 3). In questo ambito di intervento si collocano, inoltre, altri interventi complementari, in genere di minore diffusione e/o copertura dei beneficiari, volti ad alleviare le condizioni di non autosufficienza e di esclusione sociale (soluzioni abitative e di senior co-housing, centri diurni, trasporti). I trasferimenti monetari sono volti a sostenere le spese per l’acquisto di servizi di cura formale o informale nel mercato privato (vedi infra, punto 4). L’utilizzo della prestazione monetaria, per finanziare e/o sostenere l'acquisto di servizi privati di lavoro di cura, può essere non vincolato all’utilizzo del denaro per l'accesso ai servizi (come, ad esempio, in Italia, Inghilterra e Austria), vincolato (il c.d. cash-for-care, come in Francia, Olanda, Spagna e Portogallo) e misto (in Germania). L’importo del trasferimento può essere di valore fisso o di valore variabile, ovvero collegato al bisogno assistenziale e/o alla condizione reddituale del richiedente. A differenza delle pensioni di invalidità, le prestazioni monetarie per la non autosufficienza - generalmente - non presuppongono requisiti contributivi;
- il contesto (o setting) di cura: istituzionalizzato e domiciliare. L’assistenza può essere fornita presso l’abitazione dell’assistito (domiciliarità) o presso strutture (residenzialità), come centri diurni, case di riposo, residenze socio-sanitarie o protette;
- la professionalizzazione della cura: il caregiving può essere formale o informale. La cura formale è realizzata attraverso l’impiego remunerato, e regolato da contratto di lavoro, di personale dedicato e professionalizzato. Queste prestazioni sono erogate sia nel pubblico che nel privato. Per cura informale si intende, invece, quella erogata su base volontaria e non remunerata. La sua acquisizione non avviene per mezzo di un acquisto formalizzato. Il caregiver informale è spesso legato alla persona assistita (coniugi, partner, figli) e la sua azione si realizza all'interno delle mura domestiche. Per la cura informale, ma remunerata, si fa comunemente riferimento al c.d. “badantato”.
Le politiche di long-term care in Europa
Con il progressivo invecchiamento della popolazione e la trasformazione degli assetti familiari tradizionali, le politiche di long-term care hanno occupato un ruolo centrale nel dibattito pubblico europeo. La maggior quota di non autosufficienti è anziana e, tra il 2019 e il 2050, si prevede che il numero di persone europee molto anziane (con più di 85 anni) sarà più che raddoppiato. Questo vale a dire che la fetta di popolazione che necessiterà di servizi socio-sanitari e prestazioni pensionistiche è in aumento. Al contrario, la quota di popolazione in età lavorativa sta progressivamente diminuendo (Bloom et al., 2010). In tutti i Paesi europei, l’introduzione di riforme comprensive e strutturali di long-term care ha affrontato la definizione di un compromesso tra le quattro punte del c.d. diamante del welfare (Esping Andersen, 1990): Stato, famiglia, Terzo Settore e mercato. Inoltre, il design, la regolamentazione delle responsabilità finanziarie ed erogative dei servizi di long-term care coinvolgono Stato ed enti sub-nazionali (regioni, distretti, province, municipalità).
A livello nazionale, i Paesi europei fronteggiano un simile “trilemma” (Pavolini, 2022): l’aumento della copertura dei servizi pubblici di long-term care; maggiore supporto ai/lle caregiver familiari al fine di contrastare la loro uscita precoce dal mercato del lavoro, il part-time involontario, il burn out psicologico; l’aumento della spesa pubblica per la long-term care. L’aumento della spesa pubblica è ineludibile: quello della non autosufficienza è, infatti, un problema di policy che non può essere evitato a causa del progressivo invecchiamento della popolazione e dell'aumento di casi di multimorbidità. Dunque, la (necessaria) ricalibratura della spesa pone spesso i decisori pubblici davanti ad una scelta: se investire sui servizi socio-sanitari domiciliari e/o residenziali (attraverso, ad esempio, la ridefinizione dei servizi domiciliari, c.d. “ageing in place” o di istituzionalizzazione della cura) e/o se riconoscere il lavoro di cura informale mediante l’erogazione di trasferimenti monetari per i beneficiari e i caregiver e garantire a quest’ultimi maggiori tutele lavorative.
Nei Paesi europei, l’introduzione di tali politiche ha avuto luogo in tempi e modi differenti. Alcuni Paesi hanno introdotto le riforme all’inizio degli anni Sessanta (i Paesi Nordici), altri hanno considerato il tema tra gli anni Ottanta e Novanta (i Paesi continentali), altri ancora hanno varato delle riforme dopo gli anni 2000 (i Paesi Sud europei e, più recentemente, dell’Est Europa). Come evidenziato dalla letteratura (Fischer et al., 2022), le traiettorie di riforma nei Paesi europei sono state profondamente influenzate dai fattori sociali, culturali e politici nell’arco storico-temporale di riferimento. La configurazione dei sistemi di long-term care riflettono le radici delle classificazioni tradizionali dei welfare state (vedi Esping Andersen, 1990; Ferrera, 1993; 1996) e del ruolo attribuito agli “obblighi familiari” nell’erogazione della cura a parenti non autosufficienti. Inoltre, dopo una prima fase di espansione della spesa pubblica di long-term care, la crisi economica e finanziaria del 2008, il contenimento dei costi, unitamente ai vincoli di budget esterni (nei confronti dell’Unione Europea, ad esempio), hanno portato molti Paesi europei - inclusi quelli mediterranei - a politiche di cost-containment che hanno agito da ostacolo all’estensione dei servizi per la non autosufficienza. Pertanto, la residualità del settore resta un tratto caratterizzante in alcuni sistemi di welfare.
La classificazione dei regimi di long-term care è variegata nella letteratura nel campo. Lamura et al. (2009) distinguono i Paesi europei in quattro regimi di cura, a seconda dell’intensità della domanda e dell’offerta dei servizi di cura e del riconoscimento, da parte del decisore pubblico, della condizione di non autosufficienza come nuovo rischio sociale. Da questa classificazione emerge come i Paesi del Sud Europa (Spagna, Grecia, Portogallo e Italia) e l’Irlanda condividano un’alta domanda di assistenza, ma una bassa intensità dell’offerta di cura formale. Similmente, i paesi transitori (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Estonia, Latvia, Lituania) mostrano una bassa domanda di servizi di cura per la non autosufficienza e una bassa offerta sul mercato formale. Dall’altra parte del continuum, i Paesi continentali (Germania, Austria, Francia e Regno Unito), vantano un'intensità medio-alta della domanda e dell’offerta di assistenza. Infine, i Paesi nordici registrano una domanda di media intensità di assistenza e una rete consolidata di servizi pubblici socio-assistenziali per l’erogazione della cura.
Altre classificazioni combinano gli schemi di finanziamento (tassazione pubblica e contributi sociali) con i criteri di eleggibilità alle cure (universalistico o selettivo) (Simonazzi, 2009; Colombo et al., 2011). Colombo et al. (2011) evidenziano come i Paesi europei possano essere categorizzati in modelli di assicurazione sociale (Olanda, Austria e Germania), universalistici (Svezia, Danimarca e Finlandia), universalistico-selettivi (Regno Unito) e ibridi (la Francia). La clusterizzazione di Simonazzi (2009) aggiunge due modelli: quello mediterraneo (Spagna, Portogallo, Grecia, Italia) basato su un sistema residuale-selettivo, di assistenza sociale, e quello dei “Paesi di nuovo accesso”dell’Est, fondato sul prototipo di cura familiare in cui i membri sono legalmente o implicitamente vincolate alla cura dei familiari.
Più recentemente, Pavolini (2022) ha proposto una nuova classificazione a partire dalla combinazione di due variabili: la spesa pubblica destinata alla long-term care (in % del PIL) e la spesa pubblica per i servizi di LTC erogati in denaro (come quota % della spesa pubblica destinata alla LTC). L’analisi restituisce sei modelli di intervento statale (molto limitato, limitato, forte, molto forte) mediante il tipo prevalente di erogazione (se in servizi o se in trasferimenti monetari). L’Italia, ad esempio, si posiziona nel modello di intervento statale forte, attraverso prestazioni in denaro, con Austria, Germania e Repubblica Ceca, in cui il sostegno finanziario per le esigenze di long-term care è consistente (1,7% del PIL) e spesso assume la forma di trasferimenti in denaro.
Nel 2022, con l’intento di fornire indicazioni utili agli Stati Membri, la Commissione europea ha approvato l’European Care Strategy, con l’obiettivo di garantire servizi di assistenza di qualità, economici e accessibili in tutta l'Unione Europea per migliorare la situazione sia dei beneficiari di assistenza sia delle persone che si occupano di loro, a livello professionale o informale. In relazione alle politiche per la non autosufficienza, la Commissione raccomanda agli Stati membri di elaborare piani d'azione nazionali per rendere l'assistenza di cura più accessibile e di migliore la qualità.
La long-term care nel contesto italiano
L’Italia presenta un sistema di long-term care ad accesso universalistico e finanziato mediante tassazione pubblica. La spesa pubblica destinata alla long-term care è attualmente l’1,7% del PIL (Eurostat, 2019, ultimo dato disponibile). La componente sanitaria della spesa pubblica per long-term care dell’anno 2022, pari a circa lo 0,7% del PIL, corrisponde al 10,2% della spesa sanitaria complessiva. L’assistenza rivolta agli anziani rappresenta circa due terzi della spesa sanitaria complessiva per long-term care. Tale percentuale, nel 2022, è suddivisa fra la componente erogata in forma residenziale, che copre il 53% circa della spesa, e quella non-residenziale che copre la parte restante.
Le misure di long-term care si suddividono in trasferimenti monetari e servizi erogati in natura. Il pilastro della long-term care italiana è l’Indennità di Accompagnamento (IdA). Si tratta di un trasferimento monetario allocato direttamente ad un beneficiario con un grado di non autosufficienza pari al 100%, non sottoposto alla prova dei mezzi e senza vincoli di utilizzo nella spesa. Infatti, la misura consente al beneficiario di acquistare prestazioni di cura sia nel mercato formale che informale. Secondo il Rapporto Mef (2023), il numero di prestazioni in pagamento alla fine del 2022 è di circa 1.980.000 unità, per una spesa che ammonta allo 0,7% del PIL. Le Indennità di Accompagnamento erogate agli invalidi civili, che coprono la quasi totalità della spesa complessiva, sono fortemente correlate con l’età. Infatti, l’incidenza dei beneficiari sulla popolazione residente di pari età e sesso, nelle fasce di età fino ai 65 anni, rimane sostanzialmente stabile, per poi salire rapidamente nelle fasce di età successive.
Quanto ai servizi, le principali cure domiciliari sono l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) e il Servizio di Assistenza Domiciliare (SAD). L’ADI consiste in un insieme di trattamenti medici, infermieristici e riabilitativi integrati con servizi socio-assistenziali (igiene personale, cura della persona, assistenza ai pasti) svolti direttamente al domicilio della persona. L’ADI viene erogato gratuitamente, essendo finanziato dal Sistema Sanitario Nazionale. IL SAD è finalizzata a superare situazioni di difficoltà contingente, per migliorare stati di disagio prolungato e/o cronico e, soprattutto, per evitare ricoveri non volontari o per ritardarne la necessità. Le principali prestazioni del servizio sono la cura della persona e della sua abitazione; l’accompagnamento a visite mediche; il disbrigo di pratiche burocratiche; il sostegno alla vita di relazione. L’accesso al SAD è vincolato dalla prova dei mezzi e, pertanto, richiede la compartecipazione dei costi.
Infine, le residenze possono essere di vario tipo. Le case di riposo, le comunità alloggio e le case albergo sono strutture di tipo socio-assistenziale residenziali e indicate per gli anziani, autosufficienti o parzialmente tali, che sono dipendenti dal punto di vista fisico e psichico in maniera residuale. Tali residenze hanno perciò il fine di andare a supplire a quegli impegni della vita quotidiana divenuti con il passare degli anni ormai gravosi: dalle attività di igiene personale alla cura degli spazi vitali. Le RSA e le case protette sono strutture socio-sanitarie residenziali in grado di assicurare prestazioni sanitarie e riabilitative, con assistenza medica e infermieristica continua. I centri diurni si differenziano da tutte le strutture precedentemente elencate poiché non hanno una funzione residenziale. I servizi vengono prestati unicamente durante le ore del giorno e non viene effettuata assistenza notturna.
Secondo il Rapporto dell’Osservatorio Long-Term Care del CERGAS SDA Bocconi (2024), il totale dei 65+ non autosufficienti (3.959.395 stimati) che ricevono servizi è pari al 29,8%: il 22,2% l’ADI; il 7,2% servizi residenziali, lo 0,4% servizi semi-residenziali. Dunque, il tasso di copertura del bisogno garantito dalla rete socio-sanitaria pubblica è complessivamente molto contenuto e il servizio più capillare risulta essere l’ADI (poichè garantito dal SSN). I servizi semiresidenziali raggiungono una quota prossima allo zero del fabbisogno, rimanendo di gran lunga il setting meno diffuso della rete. Il SAD, non essendo stato istituito da leggi nazionali, è caratterizzato dalla massima eterogeneità tra regioni e territori. È pertanto complesso individuare dati aggiornati e aggregati in merito. Confrontando gli anni 2006-2018, si rileva che nel 2018 ha usufruito di assistenza domiciliare sociale lo 0,9% degli ultra 65enni (128.285 persone) mentre nel 2006 la percentuale era doppia, pari all’1,85%. Questo è dovuto al decremento per la spesa comunale destinata all’assistenza domiciliare (Tidoli, 2021).
Guardando alle macro-funzioni di spesa, le prestazioni monetarie rappresentano il 50% della spesa complessiva per long-term care. Il resto della spesa pubblica viene assorbita per il 29,7% dall’assistenza residenziale e semiresidenziale (7,2 miliardi di euro) e dall’assistenza domiciliare per il 19,3% del totale della spesa (4,8 miliardi di euro). Oltre ad uno sbilanciamento verso i trasferimenti monetari, il sistema italiano per la non autosufficienza presenta una forte frammentazione delle prestazioni e dei soggetti titolari, accompagnato da modelli di intervento inadeguati e un ridotto finanziamenti dei servizi. Gli interventi di assistenza sono separati in due distinti settori, sociale e sanitario; entrambi i trattamenti sono programmati e regolamentati dalle Regioni. Inoltre, a livello locale spettano poi alle Aziende Sanitarie Locali e ai Comuni le funzioni di erogazione e finanziamento.
Nel 2021 il Governo ha inserito la riforma per la non autosufficienza tra gli obiettivi da raggiungere nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Missione 5, Componente 2, Riforma 2.2). Lo scorso marzo 2024, il Governo ha approvato il Decreto Legislativo 29/2024 in attuazione del Decreto-Legge 33/2023. Un punto di svolta fondamentale se si considera che sino al 2021 il settore non era mai stato oggetto di riforme nazionali, al contrario - come evidenziato in precedenza - degli altri Paesi europei - es. Germania (1994), Francia (2002), Portogallo e Spagna (2006). La possibilità di una riforma è stata favorita e accompagnata dal ruolo di advocacy e di expertise di una coalizione di scopo, il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, composto da 60 organizzazioni nazionali.
Tra i punti salienti della riforma, si menziona l’introduzione di un Sistema Nazionale di Assistenza agli Anziani - in capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - e che è costituito dall'insieme integrato dei servizi e delle prestazioni sociali, di cura e di assistenza necessari a garantire un adeguato e appropriato sostegno ai bisogni della popolazione. Inoltre, la riforma introduce un nuovo sistema di valutazione delle condizioni dell’anziano non autosufficiente, attraverso una valutazione di responsabilità statale e una di titolarità locale, coordinate tra loro. Il testo definisce un primo riconoscimento dei caregiver familiari e promuove in via sperimentale la Prestazione Universale, ovvero una misura monetaria che non sostituisce, ma integra, l’Indennità di Accompagnamento. La prestazione sarà erogata da gennaio 2025 alle persone con almeno 80 anni, con un livello di bisogno assistenziale gravissimo e un ISEE non superiore ai 6.000 euro. La quota integrativa dell’IdA è pari a 850 euro mensili. A quest’ultima misura sono stati destinati 300 milioni di euro nel 2025 e 200 milioni nel 2026.
Non sono invece previste modifiche sul fronte dei servizi. È necessario però attendere l’approvazione dei prossimi (ventidue) decreti legislativi. È utile inoltre sottolineare che la riforma ivi menzionata è riferita alla popolazione ultra 67enne. Al contempo, la Legge 22 dicembre 2021 n. 227 ha delegato il Governo ad adottare, entro il 15 marzo 2024, uno o più decreti legislativi per la “revisione e il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità”. Il Decreto legislativo 62/2024, riferito alla non autosufficienza minorile e adulta, ha definito la condizione di disabilità, la valutazione di base, l’accomodamento ragionevole e la valutazione multidimensionale per l’elaborazione e l’attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato della persona con disabilità.
Riferimenti bibliografici
- Colombo, F., Llena-Nozal, A., Mercier, J. & Tjadens, F. (2011). Help wanted? Providing and paying for long-term care. Paris: OECD Publishing. https://doi.org/10.1787/9789264097759-en
- Esping-Andersen, G. (1990). The three worlds of welfare capitalism. Polity Press.
- Fischer, J. Lorraine, Doetter, F. & Rothgang, H. (2022a). Comparing long-term care systems: A multi-dimensional, actor-centered typology, Social Policy and Administration, Volume 56, Issue 1, pp. 33-47.
- Fosti, G., Notarnicola, E. e Perobelli, E. (2024). La sostenibilità del settore Long Term Care nel medio-lungo periodo. 6° Rapporto Osservatorio Long Term Care, Essity, Egea, Milano.
- Ferrera, M. (1993). Modelli di solidarietà, Bologna: Il Mulino.
- Ferrera, M. (1996). The “Southern Model” of Welfare in Social Europe, Journal of European Social Policy, 6(1), 17–37. https://doi.org/10.1177/095892879600600102
- Lamura, G., Mnich, E., BieÅ„, B., Krevers, B., McKee, K., Mestheneos, L. e Döhner, H. (2009). Strategic dimensions for the provision of LTC in the context of European elder care regimes, Expert Meeting on “Monitoring Long Term Care of the Elderly”, Jerusalem, September 6-9, 2009.
- OECD (2021). COVID-19 in long-term care, OECD Health Working Paper No. 131, Paris.
- Pavolini, E. (2022). Long-term care social protection models in the EU, Report, European Social Policy Network.
- Simonazzi, A. (2009). Care regimes and national employment models. Cambridge Journal of Economics, 33(2), 211–232. https://doi.org/10.1093/cje/ben043
- Tidoli, R. (2021). I servizi domiciliari in Italia, Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza.
Suggerimenti di lettura
- Cergas (2022), Il presente e il futuro del settore long term care: cantieri aperti. Quarto Rapporto dell’Osservatorio Long Term Care, Milano, Egea.
- Maino F., Betti M. e C.V. De Tommaso (2022), “L’importanza di un Secondo Pilastro Integrativo per la non autosufficienza”, Percorsi di secondo welfare, 21 marzo 2022.
- Osservatorio Domina (2021), Terzo Rapporto annuale sul lavoro domestico, Roma, Osservatorio Domina.
- Ranci C. e E. Pavolini (2013, a cura di), Reforms in Long-Term Care Policies in Europe, New York, Springer New York.