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Contrattazione di secondo livello

Scritto da: Sergio Spiller

 

Definizione

I Contratti collettivi sono, nella maggioranza dei paesi nei quali vige un certo stato di diritto, la modalità più diffusa per regolare il rapporto di lavoro fra impresa e dipendenti.

I modelli contrattuali sono i più diversi: nella maggioranza dei paesi prevale il contratto aziendale applicato alla singola azienda oppure il contratto aziendale definito nell’azienda leader del territorio viene applicato anche da altre. Meno diffuso è il ricorso al contratto nazionale di settore, mentre in una minoranza di paesi, fra cui l’Italia, convivono e si sovrappongono il contratto nazionale e la contrattazione aziendale di 2° livello.

 

L’evoluzione nel tempo

L’attuale struttura contrattuale italiana è frutto di una lunga evoluzione. Fra la fine dell’Ottocento e l’avvento del fascismo, i contratti erano prevalentemente aziendali o, come nel caso dei lavoratori agricoli, territoriali. Si ricordano pochi casi, come il contratto dei vetrai del 1908, di contratti a valenza nazionale. Durante il fascismo, anche in ossequio all’ideologia dello stato corporativo, il modello contrattuale applicato fu quello del contratto nazionale di settore.

Il modello del contratto nazionale di categoria o di settore rimase in vigore anche dopo la caduta del fascismo perché rispondeva bene all’esigenza di uno strumento univoco in grado di favorire il processo di ricostruzione economica e industriale del paese. È vero però che se i rapporti di lavoro erano regolamentati dai contratti nazionali esisteva un’importante eccezione in quanto all’interno dello stesso contratto erano previste tabelle retributive differenziate per le diverse aree del Paese.

Con l’uscita dalla fase più acuta della ricostruzione cominciarono ad evidenziarsi le differenze di produttività fra azienda e azienda a cui uno strumento univoco come il contratto nazionale non era in grado di rispondere. Fu in questo contesto che la CISL nel 1953 lanciò la proposta di affiancare al contratto nazionale la contrattazione aziendale per riconoscere ai lavoratori gli incrementi di produttività realizzati all’interno delle aziende.

La proposta nella prima fase non incontrò il favore della CGIL e solo dopo il 1958 cominciarono ad essere firmati i primi contratti aziendali. Ma il netto miglioramento della situazione economica e dei risultati delle imprese, nonché la spinta dei lavoratori per il miglioramento dei trattamenti economici, condusse nella direzione del riconoscimento delle specificità e, a partire dagli anni ‘60, la contrattazione aziendale si affermò sempre di più diventando, almeno per le grandi aziende, un elemento stabile della prassi contrattuale italiana.

Gli anni ‘70 e ‘80 furono caratterizzati da un brusco rallentamento del tasso di crescita dell’economia, dalla grande crisi inflattiva, dall’innovazione tecnologica e dall’esplodere della globalizzazione con la progressiva entrata in gioco di nuovi paesi in grado di produrre a costi molto competitivi, determinando una nuova geografia sia della produzione che dei mercati di consumo.

Il nuovo contesto economico, unito all’esigenza di creare le condizioni per permettere all’Italia di rientrare nei parametri previsti dagli accordi europei per poter partecipare alla creazione della moneta unica, rese necessaria la ridefinizione della struttura contrattuale.

Nel biennio 1992-1993, con il superamento dell’istituto della contingenza, si sancì la nuova struttura contrattuale incentrata sul contratto nazionale (a cui era affidato il compito della difesa del potere d’acquisto) e sulla contrattazione aziendale (a cui venne affidato il compito di ridistribuire gli incrementi di produttività attraverso l’introduzione dei premi per obiettivi). Tale modello ha prodotto risultati significativi fino alla fine degli anni ‘90 ma successivamente, e soprattutto dopo lo scoppio della crisi del 2008, è ripreso il dibattito sul modello contrattuale a partire da due esigenze complementari: 1) come aumentare la produttività del sistema e delle imprese che non cresce da 15 anni; e 2) come aumentare i salari e gli stipendi falcidiati dalla crisi e sottoposti alle pressioni delle trasformazioni del lavoro e delle trasformazioni organizzative che rendono sempre meno omogenee le imprese.

Il dibattito, pur in un modo non sempre lineare (infatti si sono confrontate le tesi di chi sosteneva la necessità della centralità del Contratto Nazionale, di chi riteneva necessario privilegiare il Contratto aziendale e chi era per la forma dei due livelli), ha confermato il modello contrattuale su due livelli ma in cui ci sia un sempre maggior ruolo della contrattazione di 2° livello. Resta però aperto il problema di come estendere tale tipo di contrattazione visto che attualmente viene praticata in meno del 30% delle aziende.

Tale impostazione ha trovato conferma nel recente accordo fra CGIL-CISL-UIL e Confindustria denominato “Il Patto per la Fabbrica”. Il dibattito però non si è limitato alla struttura contrattuale e molta attenzione è stata dedicata ai contenuti della contrattazione.

 

Le novità della contrattazione aziendale

L’elemento più significativo è probabilmente la crescente consapevolezza che la contrattazione di 2° livello non si può limitare alla ripartizione dei risultati, ma deve permettere il miglioramento delle performance aziendali attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti che operano e lavorano nell’azienda. Partire dalla puntuale analisi dell’impresa è tanto più importante specialmente se si ha ben chiaro quanto incidono le innovazioni organizzative adottate dalle imprese che modificano in modo radicale i processi e i prodotti. Il rilancio e la qualificazione della contrattazione di 2° livello presuppone un’attenta lettura della struttura aziendale, dei suoi punti di forza e di debolezza per individuare e definire soluzioni non standard ma specifiche rispetto ai risultati che si intendono ottenere.

Per questo, anche se le norme formali assegnano al contratto nazionale il compito di individuare le materie da trasferire alla contrattazione aziendale, non è tanto sull’elenco di queste che si qualifica la contrattazione ma sulle modalità specifiche con cui vengono declinate all’interno delle singole realtà. Nelle esperienze più significative di contrattazione aziendale temi quali l’orario di lavoro, l’organizzazione del lavoro, la professionalità, il salario trovano soluzioni nuove, più dinamiche di quelle che erano definite nelle esperienze tradizionali e più in grado di rispondere alle mutevoli esigenze organizzative.

Ma accanto a queste tematiche ce ne sono altre che si stanno affermando e che riguardano sia le necessità delle imprese che i bisogni soggettivi dei lavoratori per rispondere alle sempre più repentine e spesso imprevedibili trasformazioni del lavoro dovute all’innovazione tecnologica, alla digitalizzazione dei processi, alla comparsa di nuovi lavori e all’emergere di bisogni individuali sempre più differenziati.

Non è un caso se “Il Patto per la Fabbrica” ha individuato cinque aree tematiche sulle quali prestare grande attenzione, sulle quali la contrattazione aziendale sta già operando, ma che andranno ulteriormente arricchite e sviluppate:

  • Il tema dell’ambiente e della sicurezza sui luoghi di lavoro
  • Il tema dell’innovazione tecnologica e di industria 4.0 e le connesse esigenze di formazione e riqualificazione dei lavoratori
  • Il tema del mercato del lavoro e della tutela delle persone in entrata e in uscita dal lavoro
  • Le varie forme di welfare contrattuale e dei servizi forniti ai lavoratori
  • La partecipazione organizzativa dei lavoratori ai processi aziendali.

Anche per quanto riguarda i diritti individuali la contrattazione aziendale sta introducendo una serie di innovazioni significative sia in termini individuali che collettivi, Le modalità con cui vengono declinati i diritti di maternità e paternità, le nuove forme di prestazione lavorativa (smart working), le iniziative per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, la costruzione di strumenti di solidarietà diretta a favore delle persone più svantaggiate (banche ore solidali o etiche), le nuove forme di riconoscimento del diritto allo studio possono essere adattate a seconda della specificità aziendale, dal prevalere dell’occupazione maschile o femminile, dalle classi di età e dai servizi dei territori.

Lo sviluppo della contrattazione di 2° livello è stato sostenuto, a partire dal 2007, da incentivi fiscali e contributivi per il salario per obiettivi, per la partecipazione agli utili d’impresa, per il pagamento dei premi con azioni dell’azienda, con la possibilità di contrattualizzare il welfare aziendale e il suo sostegno con forme specifiche sgravio fiscale, con vantaggi contributivi per le imprese e per i lavoratori per la diffusione delle forme di partecipazione diretta alla gestione dei processi organizzativi.

La contrattazione di 2° livello è sempre più una grande opportunità per innovare i processi aziendali e per permettere ai lavoratori di partecipare ai processi e di vedersi riconoscere, in termini salariali o con servizi di welfare, i risultati di tali innovazioni. Per questo va sostenuta ma va anche sempre più qualificata.

Tuttavia, non bisogna nascondere che uno dei limiti maggiori per la sua diffusione dipende dalla struttura del sistema produttivo italiano formato soprattutto da piccole e piccolissime aziende, nelle quali non solo l’organizzazione del lavoro e i rapporti sono spesso assolutamente tradizionali, ma è anche difficile replicare le modalità di contrattazione di 2° livello attuate nelle aziende di maggiori dimensioni. Tuttavia, la sfida dell’innovazione va vinta anche in queste realtà, pena un progressivo impoverimento del sistema produttivo del nostro paese. Per questo vanno guardate con attenzione le nuove forme con cui si realizza la contrattazione di 2° livello: contratti regionali, territoriali, di filiera e di sito. Se si riuscirà a determinare una modalità di contrattazione che permetta il riconoscimento delle specificità delle singole attività imprenditoriali e non la mera ripartizione dei risultati, si potrà dire che si sarà fatto un buon percorso per l’innovazione e la qualificazione del nostro sistema produttivo.

 

Suggerimenti di lettura

  • Biasi M. (2014), “Retribuzione di produttività, flessibilità e nuove prospettive partecipative”, Rivista italiana di diritto del lavoro, 33(2), 337-372.
  • Treu T. (2010), “Le forme retributive incentivanti”, Rivista italiana di diritto del lavoro, 29(4), 637-692.
  • Turone S. (1998), Storia del sindacato in Italia. Dal 1943 al crollo del comunismo, Bari, Editori Laterza.
  • Viceconte M. (1999), “La contrattazione di secondo livello”, Lavoro e previdenza oggi, 26(11), 1981-2004.
Sergio Spiller
Sergio Spiller è laureato in Storia Contemporanea all’Università di Padova. È entrato nella Cisl alla fine degli anni ‘70 come membro dell’Ufficio Studi di Vicenza, assumendo poi incarichi sindacali nel settore dei tessili a livello nazionale. È stato responsabile dei maggiori gruppi di moda italiani. Dal 2016 opera nel Dipartimento Contrattazione Nazionale della Cisl occupandosi di contrattazione, welfare contrattuale e rappresentanza. È referente della Formazione sindacale per Cisl Veneto.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena