Emporio sociale
Premessa
In Italia, la crescita della povertà alimentare si è inserita in un contesto generale dove, accanto alla diminuzione di risorse dedicate al welfare, non esiste una politica specifica di livello nazionale e le azioni di sostegno sono state per lo più delegate al terzo settore e agli enti caritatevoli.
Accanto alle più tradizionali forme di sostegno territoriali (mensa dei poveri, pacco alimentare) presenti oramai da alcuni decenni, si è tuttavia assistito dal 2008 in poi alla nascita di “empori sociali” (più spesso noti come “empori della solidarietà” laddove gestiti da Caritas), ovvero progetti di sostegno territoriali che prevedono, oltre alla erogazione dei prodotti alimentari, una serie di azioni integrate che spaziano dall’inserimento lavorativo a quello sociale e culturale del beneficiario.
Definizione
Il concetto di emporio sociale nasce con l’obiettivo di allontanarsi il più possibile dall’ottica di assistenzialismo legata alla mera distribuzione di alimenti – il cosiddetto pacco viveri – radicata da sempre nelle varie realtà operanti nel settore che, nonostante un’indubbia efficacia pratica, rischia alla lunga di produrre “effetti perversi” di fidelizzazione tra i beneficiari senza dare loro l’autonomia necessaria per fuoriuscire dalla situazione di bisogno. Inoltre, l’idea di emporio prende spunto direttamente da quella di market, all’interno del quale gli assistiti possono sia reperire i beni necessari al sostentamento, sia, soprattutto, ritrovarsi in una dimensione in cui accanto al supporto pratico è salvaguardata anche la dignità della persona.
Per tali ragioni, gli empori devono possedere quattro requisiti (Lodi Rizzini, 2016: 104):
- Essere luoghi simili a supermercati commerciali, sia nella fruizione sia, soprattutto, nella facilità di accesso;
- Essere luoghi dove i beneficiari possono reperire alimenti e prodotti di prima necessità;
- Essere luoghi dove il reperimento è consentito attraverso card nelle quali un sistema a punti correlato al bisogno corrisponde al valore dei beni alimentari che si possono acquistare;
- Essere luoghi supportati dalla collaborazione tra istituzioni locali, associazionismo e aziende del territorio.
L’emporio nasce pertanto come un’opportunità profondamente diversa rispetto alle altre modalità di sostegno più consolidate con l’intenzione di trasformare pratiche che, piuttosto che accompagnare verso un miglioramento della qualità della vita, hanno a volte favorito l’atrofizzarsi delle situazioni di povertà e fragilità familiare e personale, nonché prodotto conseguenze stigmatizzanti sui beneficiari.
La possibilità per i beneficiari di fruire di una libera scelta sui beni da selezionare è strettamente collegata all’idea di fornire anche una maggiore capacità di scelta, pur sempre accompagnata ad un sistema solidaristico nel quale si prevede il sostegno e la cura dei nuclei familiari che all’emporio si rivolgono. Si individua così un luogo fisico, un punto di riferimento stabile, che diventa strumentale al percorso offerto alle famiglie e ne intercetta i reali bisogni, evitando la cronicizzazione della situazione di disagio e rispettando però al tempo stesso la libertà di scelta dell’individuo, quindi la dignità della sua storia personale: la famiglia costruisce, accompagnata ma non (etero)diretta, la propria dimensione all’interno della struttura di aiuto compiendo, nel momento stesso in cui viene alleggerita da alcune pesantezze economiche, un percorso di educazione verso corretti stili di vita.
Gli utenti e i gestori
Molto difficile, per non dire impossibile, definire un identikit degli utenti che possono accedervi, data la varietà di soglia di accesso che differisce da struttura da struttura e di territorio in territorio. Per certi versi, vista l’autonomia gestionale che ciascuna struttura possiede, sulla carta ogni emporio potrebbe avere una propria soglia scelta sulla base di specifiche caratteristiche territoriali e sociali. Ciò nonostante, possiamo indicare nella misura ISEE inferiore ai 7-10mila euro annui la soglia standard prevalente riscontrata in una recente rilevazione nazionale degli empori (Lodi Rizzini, 2016: 121).
Bisogna comunque sottolineare come l’utenza corrisponda alla necessità di essere più o meno inclusivi rispetto a situazioni di impoverimento diffuso che stanno interessando anche gruppi sociali in passato estranei a questo insieme di problemi. I processi di invecchiamento della popolazione, accompagnati alla crisi del salvagente familiare che ha costituito per molti anni un argine alla povertà di molte famiglie, rendono i beneficiari più eterogenei rispetto al recente passato, registrando anche l’arrivo di persone in grande difficoltà psicologica a palesarsi in situazione di difficoltà.
Gli empori si caratterizzano per una partecipazione mista tra pubblico, privato e terzo settore, anche se poi spetta al volontariato ricoprire il ruolo prevalente per l’operatività delle strutture stesse. Se al terzo settore spetta poi solitamente il compito di gestione, il pubblico e il privato, come detto, contribuiscono direttamente a sostenere gli empori attraverso l’erogazione diretta di risorse oppure, in taluni casi, la costruzione di reti tra soggetti in grado di produrre una vera e propria economia sociale di scala.
Punti di forza e di debolezza
Tra i principali punti di forza di queste strutture vi è senza dubbio la capacità di offrire ai beneficiari non solo cibo ma anche servizi integrati necessari per far uscire dalla condizione di fragilità le persone che vi si rivolgono. Da qui la nascita di sportelli socio-sanitari, lavorativi, laboratori di formazione, mercatini nei quali riciclare oggetti e valorizzare mestieri, competenze, attività dei beneficiari. Queste attività collaterali sono molto importanti anche per potenziare il contrasto verso la cosiddetta povertà relazionale, che si trova quasi sempre associata alla povertà alimentare di una persona e che spesso ne determina un peggioramento da un punto di vista dei processi di esclusione sociale.
Tra i punti di maggiore debolezza, invece, possiamo evidenziare gli aspetti legati alla loro diffusione, ancora poco sistematica e disomogenea sul territorio nazionale, la scarsa informazione sulla loro presenza, per cui le famiglie che si affacciano al servizio sociale o che intercettano la rete dei centri di ascolto dei vari enti promotori non ne sono sempre a conoscenza (e quando lo sono è soprattutto grazie al passaparola tra gli stessi beneficiari), gli stereotipi che ancora marchiano gli empori, per cui la stessa opinione pubblica si ferma spesso alla sola dimensione alimentare. Infine, non meno importante, il fatto che siano rimasti in alcuni casi luoghi con caratteristiche “segreganti”, ovvero riservati a categorie specifiche e marginali di popolazione.
Riferimenti bibliografici
- Lodi Rizzini C. (2016), “L’innovazione nella distribuzione: gli empori solidali”, in Maino F., C. Lodi Rizzini e L. Bandera (a cura di), Povertà alimentare in Italia: le risposte del secondo welfare, Bologna, Il Mulino.
Suggerimenti di lettura
- Campiglio L. e G. Rovati (2009, a cura di), La povertà alimentare in Italia. Prima indagine quantitativa e qualitativa, Milano, Guerini e Associati.
- Caritas (2014), False partenze. Rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia, Roma, Caritas.
- Rovati G. e L. Pesenti (2015, a cura di), Food poverty, food bank, aiuti alimentari e inclusione sociale, Milano, Vita e Pensiero.