Dualizzazione del mercato del lavoro
Premessa
Termini quali dualizzazione e segmentazione dei mercati del lavoro (occidentali) sono divenute quasi di uso corrente in letteratura e spesso anche nel dibattito di policy. Spesso, purtroppo, il significato di tali termini è dato per scontato e, il più delle volte, essi sono poco o nulla discussi e resi comprensibili al di fuori del gruppo degli addetti ai lavori. In questa voce mi propongo di chiarire i significati dei termini sopra menzionati, illustrando il dibattito di economia e sociologia del lavoro da cui derivano e il significato che hanno assunto nell’odierno dibattito lavoristico e di policy. Nel farlo, sottoscrivo un approccio più istituzionalista di quanto non fosse nella letteratura originaria sui mercati del lavoro segmentati o duali – parlando quindi di mercati del lavoro “two-tiered” (Esping-Andersen e Regini 2000; Barbieri, 2011; Boeri, 2011; Barbieri et al., 2016) – servendomi di contributi di letteratura giocoforza limitati e che sicuramente faranno torto a troppi che sul tema hanno prodotto contributi rilevanti, nonché di alcuni risultati di ricerca di sociologia comparata dei mercati del lavoro facenti capo ad un gruppo di ricerca attivo soprattutto presso Sociologia di Trento.
Segmentazione e dualizzazione
Iniziamo quindi dalle origini: Segmentazione. Cosa significa ‘segmentazione’ e chi segmenta cosa? Il concetto ha radici profonde, che affondano nelle teorie dei mercati del lavoro duali e, appunto, segmentati. Tali approcci sottolineano le differenze in termini di sicurezza e stabilità d’impiego, salari e prospettive di carriera, fra due segmenti separati della forza lavoro. Nonostante i diversi focus sui meccanismi di segmentazione, è possibile affermare che entrambi gli approcci focalizzassero sull’operato selettivo della domanda di lavoro e sugli effetti di queste scelte delle imprese in termini di divisione della forza lavoro fra “primaria” e “secondaria” (o anche “insider” e “outsider”). Manca, in questi primi apporti teorici, una prospettiva chiaramente istituzionalista che si soffermi sul ruolo della regolazione (e della de-regolazione) istituzionale e su come questa (soprattutto la seconda) possa produrre esiti di segmentazione del lavoro e del mercato del lavoro. Nonostante questi “limiti” iniziali, il successivo dibattito di economia e sociologia del lavoro, assume – in modo più o meno esplicito – un approccio istituzionalista alla segmentazione/dualizzazione dei mercati del lavoro occidentali che focalizza sulle differenze istituzionali macro alla base della distinzione fra posizioni occupazionali stabili e garantite e posizioni lavorative precarie a garanzie limitate. Come si evince anche da questa fulminea trattazione, i concetti di segmentazione e di dualismo nascono quasi come sinonimi e come tali sono stati spesso impiegati nella ricerca empirica. Se vogliamo, possiamo distinguerli affermando che mentre il concetto di segmentazione si riferisce alle condizioni materiali di selezione, impiego e compensazione della forza lavoro in produzione, quello di dualismo fa un riferimento (spesso implicito) più ampio alla diseguaglianza normativa, istituzionalmente originata fra una forza lavoro ‘primaria-garantita’ (diritti del lavoro, diritti sociali e di welfare, diritti politici di rappresentanza, diritti salariali), centrale nei processi di valorizzazione delle società capitalistiche avanzate/post-industriali, ed una forza lavoro (minoritaria quantitativamente) secondaria, sotto-tutelata e “deregolamentata”, dunque marginale ed utilizzata come buffer occupazionale o come strumento di compressione dei costi del lavoro.
La nascita di tale distinzione va ricercata nelle conseguenze dei processi di deregolamentazione che, a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, sono state implementate in parallelo ai processi di ridefinizione degli assetti ford-keynesiani produttivi e di cittadinanza sociale, e nel mutato paradigma con cui si leggevano i processi di trasformazione delle economie e dei mercati del lavoro che hanno interessato il mondo del lavoro e della produzione. Una lettura dei mercati del lavoro europei-occidentali in chiave di search theory permise infatti di focalizzare anche il dibattito di labour policy sul ruolo delle c.d. “imperfezioni” dei mercati del lavoro (europei), le quali ritardavano o rendevano comunque meno efficiente il recupero di un equilibrio fra vacancies e disoccupazione. La ricetta logicamente conseguente ad una tale diagnosi (diagnosi non necessariamente errata o interessata) sottolineava la necessità di ridurre tali “imperfezioni”. Senonché tali “imperfezioni” erano spesso identificate nelle principali istituzioni di regolazione dei mercati del lavoro europeo-occidentali: organizzazioni sindacali, salari minimi, normative a protezione del lavoro dipendente (impossibilità di licenziamenti “at will”), gli stessi sistemi di welfare con i trasferimenti che attuavano potevano rendere più rigida la forza lavoro inoccupata (Grubb e Wells, 1993). Va sottolineato come spesso tali letture erano basate su associazioni bivariate - nemmeno sempre in serie storica - fra indici macro (tipicamente indici di Employment Protection Legislation, o indici EPL, e tasso di disoccupazione) per poche decine di paesi. L’idea che per creare più occupazione si dovessero ridurre i livelli di protezione del lavoro, accettando quindi una maggiore diseguaglianza fra condizioni lavorative e contrattuali fra segmenti diversi della forza lavoro, così come si dovessero accettare maggiori differenziazioni salariali all’interno degli occupati, si diffuse anche a livello di élite politico-economiche governanti, ed il trade-off fra occupazione ed eguaglianza (vuoi salariale, vuoi di condizioni contrattuali e normative) venne più o meno implicitamente accolto quale linea guida delle politiche di deregolamentazione dei mercati del lavoro europei continentali. A titolo esemplificativo, le “raccomandazioni di policy” dell’OCSE (1994) prevedevano già nel 1994: al punto 5, “Rendere i salari e i costi del lavoro più flessibili attraverso la rimozione delle restrizioni normative che impediscono ai salari di riflettere le condizioni dei mercati del lavoro locali e i livelli di qualificazione professionale dei singoli individui, in particolare dei giovani”; e al successivo punto 6, “Riformare le normative a tutela della sicurezza occupazionale del lavoro che inibiscono l’espansione dell’occupazione nel settore privato”.
La letteratura sottolinea come sia pressioni politico-sindacali sia scelte di deregolamentazione “ai margini” attuate dai governi possano rinforzare la struttura duale del mercato del lavoro e la segmentazione fra un settore primario-garantito e un settore secondario sotto-protetto o precario. A tali distinzioni macro, si accosta, usualmente, la distinzione fra occupati “insider” e “outsider”.
La dinamica del fenomeno in Europa
La Figura 1 mostra gli andamenti nel tempo di due specifici indici EPL calcolati periodicamente da OCSE, per i lavoratori a tempo indeterminato e per i lavoratori a termine. Come si evince chiaramente dal confronto fra i due grafici, i paesi europei optarono dichiaratamente per ridurre le sole protezioni del lavoro “secondario”, a termine, mentre i livelli di protezione normativa del lavoro permanente (la stragrande maggioranza degli occupati) restarono quasi ovunque immutati. Questa scelta, giustificata forse dalle complessive condizioni politico-sociali dei paesi europei, aprì comunque la strada ad un processo di dualizzazione (intendendo con questo termine l’origine istituzionalmente determinata del processo di diseguaglianza normativa e salariale avviato) dei mercati del lavoro europei che perdura ancora oggi.
Figura 1. Indici di Employment Protection Legislation (EPL) per occupati permanenti e a termine
Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati Oecd Employment Protection database, 2013.
Poiché i due indici condividono la stessa scala, la differenza fra i due (“EPLgap”) dà conto del processo di deregolamentazione ai margini avvenuto nei diversi paesi europei.
Come si vede (Figura 2) praticamente in tutti i paesi EU, la deregolamentazione introdotta si è caratterizzata per il fatto di essere stata “ai margini” del mercato del lavoro, cioè concentrata sulle figure e sui gruppi sociali meno garantiti e meno centrali nei processi di valorizzazione delle imprese (giovani, individui a bassa qualifica, donne e migranti) avviando un processo di segmentazione dei mercati del lavoro europei e di conseguente dualizzazione delle stesse società.
Figura 2. Indice di EPL gap
Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati Oecd Employment Protection database, 2013.
Sappiamo dalla ricerca in merito che tale opzione “dualizzante” non ha avuto gli effetti che ci si augurava: l’impatto sulla crescita occupazionale è stato al più modesto e di breve durata (la letteratura parla di honeymoon effect della deregolamentazione), mentre ha originato un processo di crescita della diseguaglianza vuoi su basi di skill, vuoi su basi di coorti di ingresso sul mercato del lavoro, fortemente context-dependent (Figura 3).
Figura 3. Effetti dei cambiamenti di protezione normativa del lavoro sulle probabilità di occupazione e di occupazione temporanea, per anno e cluster di paesi EU
Note: NC indica i paesi Nordici (Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia); CC indica i paesi Centro-Europei (Austria, Belgio, Francia, Germania, Olanda) e SC indica i paesi latini (Italia, Grecia, Spagna e Portogallo).
Fonte: Barbieri e Cutuli, 2016.
Quel che si può aggiungere, oggi, alla luce della ricerca recente, è che tale segmentazione è estremamente radicata nei paesi del Sud Europa, in cui i tassi di transizione dal settore secondario, a garanzie ridotte, al mercato del lavoro primario sono estremamente bassi, configurandosi quindi il lavoro “precario” più come una vera e propria trappola che non come un trampolino verso un impiego stabile e sicuro (Scherer, 2004; Scherer, 2005; Barbieri e Scherer, 2009). La Figura 4 mostra la probabilità di transitare da un impiego a termine ad uno permanente, in diversi paesi EU. Si osservi come tale probabilità sia estremamente ridotta sia in Italia che in Spagna, segnale evidente della scarsità di flussi fra i due segmenti del mercato del lavoro che si registra in sud Europa. Giovani, individui scarsamente istruiti e donne sono coloro più a rischio di intrappolamento nel mercato del lavoro secondario. Un’immagine sostanzialmente sovrapponibile si ottiene osservando le probabilità di transizione dalla disoccupazione ad un impiego stabile, segno che la deregolamentazione non ha avviato flussi di inflow/outflow fra lavoro e non lavoro, ma si è limitata a creare barriere all’interno degli occupati, tra l’altro con effetti di vera e propria sostituzione di lavoro stabile con lavoro instabile.
Figura 4. Probabilità di transitare al lavoro permanente da un episodio di lavoro temporaneo: a un anno (‗), tre anni (-), 10 anni (•) di esperienza sul mercato del lavoro.
Note: La barra verticale azzurra indica la probabilità media complessiva di transitare da un lavoro a termine ad un lavoro stabile.
Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati EU-Silc e Oecd Employment Outlook 2015.
Infine, un’ultima nota sulle conseguenze sociali di tale processo. Sappiamo che gli esiti negativi dei processi di deregolamentazione del mercato del lavoro sono concentrati (tantopiù nel nostro Paese) sulle giovani generazioni. Si tratta di un processo di esclusione sociale che sta già avendo conseguenze significative sulla possibilità di questi giovani di compiere, in tempi ragionevoli, la transizione alla vita adulta. Considerando che sempre più sovente le condizioni di esclusione o di precarietà si combinano all’interno delle famiglie giovani, che una situazione di prolungata esperienza di precariato occupazionale porta al deteriorarsi del capitale umano dei soggetti, considerando l’elevatissima ereditarietà intergenerazionale delle condizioni di privilegio socioeconomico proprie del nostro Paese che si riverbera in ridottissime chance di mobilità sociale per chi non proviene dalle classi superiori e, infine, avendo presente che la struttura dei sistemi di welfare assicurativi latini appare oltremodo concentrata sulla copertura dei vecchi rischi industriali (pensioni) propri delle vecchie coorti di individui ex occupati, e non sulla provvisione di servizi e trasferimenti per i giovani che incappano in nuovi tipi di rischi sociali, ne deriva una profonda preoccupazione per lo strutturarsi di stabili condizioni di diseguaglianza e di esclusione dalla piena partecipazione alla società di quelle generazioni che dovrebbero rappresentare l’investimento sul futuro del paese.
Riferimenti bibliografici
- Barbieri P. (2011), “Italy: No Country for Young Men (and Women)”, in S. Buchholz e D. Hofaecker (a cura di), The Flexibilization of European Labor Markets: The Development of Social Inequalities in an Era of Globalization, 108-146, Cheltenham (UK) / Northampton (MA), Edward Elgar.
- Barbieri P. e S. Scherer (2009), “Labour Market Flexibilization and Its Consequences in Italy”, European Sociological Review, 25, 677-692.
- Barbieri P. e G. Cutuli (2016), “Employment Protection, Labour Market Dualism, and Inequality in Europe”, European Sociological Review, 32, 501-516.
- Barbieri P., G. Cutuli, R. Luijkx, G. Mari e S. Scherer (2016), “Substitution, entrapment, and inefficiency? Cohort inequalities in a two-tier labour market”, Socio-Economic Review, mww035.
- Boeri T. (2011), ”Institutional Reforms and Dualism in European Labor Markets”, in O. Ashenfelter e D. Card (a cura di), Handbook of Labor Economics, Vol. 4b, 1173-1236, North Holland, Elsevier.
- Esping-Andersen G. e M. Regini (2000), Why Deregulate Labour Markets?, Oxford, Oxford University Press.
- Grubb D. e W. Wells (1993), “Employment Regulation and Patterns of Work in EC Countries”, OECD Economic Studies, 21.
- OCSE (1994), The OECD jobs study: facts, analysis, strategies, Parigi, OCSE.
- Scherer S. (2004), “Stepping-Stones or Traps? The Consequences of Labour Market Entry Positions on Future Careers in West Germany, Great Britain and Italy”, Work, Employment & Society, 18, 369-394.
- Scherer S. (2005), “Patterns of Labour Market Entry - Long Wait or Career Instability? An Empirical Comparison of Italy, Great Britain and West Germany”, European Sociological Review, 21, 427-440.
Suggerimenti di lettura
- Emmenegger P., S. Hausermann, B. Palier e M. Seeleib-Kaiser (2012, a cura di), The Age of Dualization: The Changing Face of Inequality in Deindustrializing Societies, Oxford, Oxford University Press.
- Palier B. e K. Thelen (2010), “Institutionalizing Dualism: Complementarities and Change in France and Germany”, Politics & Society, 38, 119-148.
- Piore M.J. (1975), “Notes for a Theory of Labor Market Stratification”, in R.C. Edwards, M. Reich e D.M. Gordon (a cura di), Labor Market Segmentation, Lexington, D.C. Heath.
- Rueda D. (2007), Social Democracy Inside Out, Oxford, Oxford University Press.
- Saint-Paul G. (1996), Dual Labor Markets: A Macroeconomic Perspective, Cambridge (MA), The MIT Press.