Innovazione sociale
L’origine del concetto
Negli ultimi tre decenni, il concetto di innovazione sociale ha acquisito una crescente importanza a livello comunitario (Sabato et al., 2015). In termini generali, con innovazione sociale si fa riferimento a nuove risposte in grado non solo di soddisfare nuovi e più pressanti bisogni sociali, ma di favorire contemporaneamente l’interazione tra tutti gli attori coinvolti nell’erogazione di prestazioni e servizi. Per quanto sia possibile individuare - già dagli anni Settanta - progetti europei caratterizzati da un elevato grado di innovazione sotto il profilo sociale, il concetto ha iniziato ad essere utilizzato a partire dal 2005 con la rinnovata Strategia di Lisbona. E solamente alla fine degli anni 2000 l’innovazione sociale è stata esplicitamente definita in seno all’Unione Europea.
Al consolidamento del concetto a livello comunitario ha certamente contribuito il Bureau of European Policy Advisers (BEPA). Promuovendo, nel 2009, un workshop sull’innovazione sociale il BEPA non solo ha chiamato a raccolta i massimi esperti del tema, ma è anche riuscito a proporne una definizione (BEPA, 2010) che da lì in avanti è entrata nel dibattito e nel lessico comunitario, definendo l’agenda di policy europea degli anni successivi. Dal 2010, quindi, gli Stati membri sono stati incoraggiati a includere iniziative innovative sotto il profilo sociale nelle loro strategie nazionali per affrontare le sfide del nostro tempo e un’ampia gamma di risorse finanziarie e ideative sono state messe a disposizione per sostenere la diffusione e lo sviluppo dell’innovazione sociale.
L’innovazione sociale ha visto poi accresciuta la propria centralità in stretta connessione con l’evoluzione della crisi finanziaria ed economica che ha colpito l’Europa dal 2008. L’innovazione è stata considerata insieme un obiettivo strategico e uno strumento di policy importante per affrontare i nuovi rischi sociali – dalla denatalità all’invecchiamento della popolazione, dalle trasformazioni della struttura familiare con le connesse implicazioni nei rapporti di genere a quelle nel mercato del lavoro, dalla crescita delle disuguaglianze di reddito alla povertà multidimensionale – in tempi di risorse scarse e tagli ai bilanci pubblici. Il fatto che i sistemi di welfare europei abbiano dovuto confrontarsi con nuove sfide demografiche, sociali, culturali e ambientali e insieme con le politiche di austerità ha agito da incentivo ad includere più attivamente attori non pubblici nella co-progettazione di interventi in ambito sociale. Il crescente coinvolgimento di stakeholder privati nella produzione ed erogazione di servizi di welfare e l’utilizzo di strumenti finanziari innovativi sono così diventati negli ultimi due decenni elementi indispensabili per affrontare in modo efficiente e sostenibile i problemi sociali.
La definizione
La letteratura ha evidenziato che ricomprendere l’innovazione sociale in un’unica definizione è estremamente complesso e in parte anche riduttivo. Tepsie (2014) sottolinea che il termine innovazione sociale è usato per descrivere una vasta gamma di attività e che accademici, ricercatori e professionisti tendono a evidenziare aspetti specifici del concetto, in stretta relazione con il loro campo di indagine. Queste diverse prospettive portano ad un gran numero di definizioni divergenti e spiegano perché il compito di definire uniformemente l’innovazione sociale sia particolarmente difficile. Jenson e Harrison (2013) si riferiscono all’innovazione sociale usando il termine quasi-concept – un concetto caratterizzato da un alto grado di flessibilità ma anche da una serie di debolezze empiriche e analitiche. Benneworth et al. (2014) hanno evidenziato la diffusa ambiguità concettuale presente all’interno della letteratura sull’innovazione sociale: secondo questi autori spesso l’unica cosa che può essere catturata nella realtà è più che altro uno scorcio di innovazione sociale, per quanto a volte si tratti di uno “scorcio spettacolare”.
Una delle definizioni più comunemente utilizzate è proprio quella proposta dal BEPA (2010: 33): “Le innovazioni sono sociali sia in relazioni ai fini che ai mezzi. Si tratta di nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che contemporaneamente soddisfano esigenze sociali (in modo più efficace delle alternative) e creano nuove relazioni sociali e collaborazioni. In altre parole sono innovazioni che non sono solo buone per la società ma migliorano anche la capacità della società di agire”. Sebbene non sia stata ufficialmente riconosciuta come la definizione dell’Unione Europea, ha acquisito un’ampia diffusione in letteratura e un elevato numero di documenti comunitari vi fa ancora oggi riferimento (Sabato et al., 2015).
Il processo sotteso all’innovazione sociale implica quindi trasformazioni tanto “di prodotto” (la natura dei servizi offerti e i risultati raggiunti) quanto “di processo” (chi offre il servizio, con quali risorse, a seguito di quali interazioni, alla luce di quali interessi), che si distinguono dal resto delle sperimentazioni nel sociale per il fatto di riuscire a migliorare effettivamente e in modo duraturo la qualità della vita degli individui e della società nel suo complesso.
Le iniziative socialmente innovative sono fondamentali nei casi di fallimento dello Stato e del mercato in quanto offrono la possibilità di soddisfare esigenze che altrimenti non sarebbero soddisfatte e creano un valore aggiunto che non sarebbe stato creato senza di esse. L’innovazione sociale è quindi tale solo se genera vantaggi per la collettività anziché accrescere i guadagni per gli investitori privati o per le persone in condizioni di svantaggio o bisogno (Harris e Albury, 2009). Il fatto che il termine sociale nella definizione di innovazione faccia riferimento sia al valore aggiunto per la società nel suo complesso sia alla soddisfazione di bisogni sociali precedentemente non soddisfatti o non soddisfatti in modo efficiente rappresenta una componente necessaria ma non sufficiente. È solo combinandosi con la dimensione processuale che il concetto di innovazione sociale sviluppa la sua vera essenza.
La definizione del BEPA illustra infatti molto chiaramente che le iniziative socialmente innovative devono contemporaneamente creare “nuove relazioni sociali e collaborazioni”. Questa parte della definizione mette in evidenza l’importanza dei processi e rende evidente che un intervento può essere considerato un’innovazione sociale soltanto quando vengono utilizzate intenzionalmente nuove o rinnovate forme di organizzazione e interazione tra gli attori. Ad incontrarsi e collaborare sono attori appartenenti ad arene diverse che tradizionalmente non hanno operato insieme. L’innovazione sociale sta dissolvendo i confini che separavano le sfere del welfare pubblico, senza scopo di lucro, da quello privato e favorisce una maggiore cooperazione tra questi attori (Ferrera e Maino, 2014; Moulaert et al., 2014). Proprio lo smantellamento di questi confini e la contaminazione tra settori fa sì che l’innovazione sociale sia in grado di offrire soluzioni nuove e sostenibili, che si traduca in cambiamenti di ruolo e relazioni tra gli attori, che promuova lo scambio di idee e valori e l’uso congiunto di risorse pubbliche, private e non profit. L’innovazione sociale, in aggiunta, favorisce l’avvicinamento di attori che operano a livelli istituzionali diversi, da quello locale a quello regionale, dal livello nazionale a quello europeo sostenendo così nuove forme di governance insieme multi-attore e multi-livello.
L’innovazione sociale cambia, inoltre, il sistema in quanto concorre a modificare le istituzioni e gli strumenti di policy utilizzati per soddisfare i bisogni all’interno di una società. Tutto questo contribuisce a creare nuove istituzioni e nuovi sistemi sociali modificando progressivamente i paradigmi interpretativi di riferimento. L’innovazione non può quindi essere considerata solo uno strumento di cambiamento delle relazioni tra gli attori; è piuttosto una fonte di trasformazione del sistema di welfare nel suo complesso. A questo fine l’innovazione sociale punta a “migliorare la capacità della società di agire”. Le iniziative socialmente innovative mirano a migliorare la resilienza dei beneficiari aumentando le loro capacità e facilitando il loro accesso alle risorse (Benneworth et al., 2014). L’obiettivo in questo caso è favorire insieme l’empowerment dei singoli cittadini e della società nel suo complesso, dotando gli individui del giusto insieme di competenze per diventare protagonisti autonomi e di successo in un sistema economico in rapida trasformazione.
Infine, lo sviluppo dell’innovazione sociale non si adegua ad un modello lineare di intervento, ma procede per tappe e fasi che riguardano l’emergere di sfide e nuovi bisogni, la messa a punto di nuove idee e soluzioni, la loro sperimentazione e la loro possibile trasformazione in azioni di sistema e nuove politiche che favoriscano il conseguimento di un cambiamento sistemico nell’ambito di un settore specifico di policy e più in generale del modello di welfare di un determinato Paese.
Fattori facilitanti e barriere all’innovazione sociale
Una parte importante della letteratura sull’innovazione sociale ha concentrato l’attenzione sul fatto che la realizzazione di iniziative socialmente innovative è fortemente correlata con le caratteristiche istituzionali di un dato Paese. Questo significa che il modello di welfare conta per il successo o il fallimento dell’innovazione sociale (Ferrera e Maino, 2014). L’appartenenza ad un modello di protezione sociale (sia esso occupazionale o universalistico, oppure appartenente ad una delle possibili varianti proposte dagli studiosi di welfare) può fare la differenza sebbene ad oggi non sia ancora oggetto di studio sistematico l’individuazione dei fattori esplicativi che chiariscano il rapporto tra tipo di protezione sociale e capacità di innovazione. È però possibile individuare sia fattori facilitanti per l’innovazione sia ostacoli e barriere contribuendo così alla comprensione del perché alcuni sistemi di welfare siano più inclini (e altri meno) alla diffusione di soluzione innovative sotto il profilo sociale (BEPA, 2014; Tepsie, 2014; Maino, 2017).
I fattori facilitanti e le barriere possono essere ricondotti a quattro dimensioni:
- la cornice legislativa operante all’interno di un Paese e del suo sistema di welfare: quadro normativo che può essere più o meno aperto e favorevole all’innovazione sociale o viceversa improntato alla difesa dell’esistente e in particolare di un modello di protezione sociale fortemente incentrato sul ruolo predominante dell’attore e delle risorse pubbliche;
- il sistema di finanziamento previsto e le risorse messe a disposizione: tanto maggiori sono gli incentivi e le opportunità che favoriscono l’accesso anche a risorse non pubbliche tanto più elevato è il loro impiego per il finanziamento di progetti e iniziative che mirano ad arrivare là dove i fondi pubblici sono insufficienti e necessitano di risorse integrative per trovare soluzioni più efficaci;
- la struttura organizzativa, che a sua volta fa riferimento agli interessi, al ruolo e alle responsabilità di cui è portatore ognuno degli attori coinvolti nella definizione ed erogazione di servizi e prestazioni di welfare: attori che possono essere più aperti e inclini al cambiamento ma anche più riluttanti ad aprirsi all’innovazione perché “permeati” da una inerzia e/o una miopia che ne limita l’azione e la disponibilità a mettersi in gioco in sinergia con altri stakeholder. È soprattutto rispetto a questa dimensione che possiamo ipotizzare che la “path dependency” possa agire di volta in volta da sostegno e puntello o viceversa da freno e ostacolo. Tanto più i sistemi di welfare e le organizzazioni sono intrappolate in regole e routine stratificate e consolidate tanto meno c’è spazio per l’innovazione. Viceversa, sistemi caratterizzati da una bassa performance presentano “crepe” nel sistema che possono favorire aperture inattese e opportunità per affrontare le nuove sfide con strumenti e modalità di azione nuove che facciano appunto perno sull’innovazione sociale;
- la scalabilità, che riguarda la possibilità che dopo una fase di sperimentazione si scelga di muovere verso azioni di sistema che puntino ad una progressiva diffusione e riconoscibilità dell’innovazione. Tutto questo ha a che fare con la scalabilità dei progetti e delle iniziative di innovazione sociale fino ad arrivare – potenzialmente – alla messa in campo di vere e proprie politiche innovative. Anche in questo caso è possibile sia individuare elementi che facilitano e promuovono la scalabilità e ostacoli che invece si frappongono e di fatto alimentano la proliferazione di iniziative, confinando su piccola scala il successo (quando raggiunto) delle iniziative in campo.
Innovazione sociale e resilienza
Da ultimo, un concetto importante sia in termini teorici che empirici, strettamente connesso all’innovazione sociale, è quello di resilienza. In un contesto di austerità permanente e di crisi dello stato sociale (così come di fronte alle emergenze e agli shock esogeni, come è stato nel caso della pandemia da Covid-19), i Paesi hanno bisogno di idee innovative - che tengano conto della complessità dei problemi e quindi promuovano soluzioni che permettano ai sistemi di welfare di apprendere, adattarsi e occasionalmente trasformarsi senza collassare - e di rafforzare la loro capacità di trovare in modo continuativo soluzioni efficaci. La teoria della resilienza ha a che fare con il flusso continuo di sfide e fattori di crisi, processi di riorganizzazione, messa in campo di risposte, processi di sviluppo e crescita, consolidamento e di nuovo sfide, alla ricerca di un equilibrio tra continuità e cambiamento.
Possiamo ipotizzare che i sistemi sociali si “servano” dell’innovazione sociale per accrescere la loro resilienza. L’innovazione sociale incoraggia il coinvolgimento degli stakeholder in modo che elementi differenti e interessi diversi si contaminino e traggano mutualmente beneficio. Gli stakeholder operando insieme escogitano nuove idee utilizzando le risorse disponibili. Alcune idee falliscono, ma altre diventano nuovi prodotti, programmi o progetti che attraggono risorse e diventano parte del sistema rinnovato. Dalla contaminazione di idee vecchie e nuove nella fase di generazione ideativa si passa alla definizione di nuove soluzioni in grado di attrarre risorse; dalla fase di sperimentazione di idee innovative e reti operative si passa al consolidamento e all’istituzionalizzazione delle misure in modo che diventino la soluzione da attuare su più vasta scala. La teoria della resilienza, a sua volta, può rivelarsi molto utile per i decisori e gli stakeholder coinvolti nei processi di innovazione sociale (Westley, 2013). Essa postula la necessità di esaminare sistematicamente un problema, le possibili soluzioni e gli impatti che potrebbero essere generati promuovendo il ricorso al monitoraggio e alla valutazione.
Gli studi sulla resilienza hanno anche individuato i fattori che favoriscono l’innovazione sociale: un sistema di governo poco gerarchico e improntato – al contrario – alla partecipazione e al coinvolgimento dei diversi stakeholder; una elevata capacità di risposta e reazione ai cambiamenti; un alto grado di flessibilità rispetto ai rischi e alle esigenze sociali; l’enfasi sull’apprendimento e la collaborazione; spazio per le sperimentazioni; un elevato capitale sociale e attori caratterizzati da affidabilità, leadership e capacità relazionali (Westley, 2013). Elementi che possono contribuire ad accrescere la resilienza e quindi la capacità di rinnovamento dei sistemi di welfare e della società nel suo complesso.
Riferimenti bibliografici
- BEPA – Bureau of European Policy Advisers (2010), Empowering People, Driving Change: Social Innovation in the European Union, Lussemburgo, Commissione Europea, Publication Office of the European Union.
- BEPA – Bureau of European Policy Advisers (2014, a cura di), Social Innovation. A Decade of Changes, Lussemburgo, Commissione Europea, Publication Office of the European Union.
- Ferrera M. e F. Maino (2014), “Social Innovation Beyond the State. Italy’s Secondo Welfare in a European Perspective”, Centro di Ricerca e Documentazione Einaudi, Working Paper 2WEL, 2.
- Jensen J. e D. Harrison (2013), Social innovation research in the European Union. Approaches, findings and future directions, Lussemburgo, Commissione Europea, Publications Office of the European Union.
- Harris M. e D. Albury (2009), The Innovation Imperative. Why Radical Innovation is needed to Reinvent Public Services for the Recession and Beyond, London, NESTA.
- Maino F. (2017), “Secondo welfare e innovazione sociale in Europa: alla ricerca di un nesso”, in F. Maino e M. Ferrera (a cura di), Terzo Rapporto sul secondo welfare in Italia 2017, Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi.
- Moulaert F., D. MacCallum, A. Mehomood e A. Hamdouch (2014, a cura di), The International Handbook on Social Innovation, Cheltenham (UK), Edward Elgar Publishing.
- Sabato S., B. Vanhercke e G. Verschraegen (2015), “The EU Framework for Social Innovation – Between Entrepreneurship and Policy Experimentation”, ImPRovE Working Paper, 15/21.
- Tepsie (2014, a cura di), Social Innovation Theory and Research. A Guide for Researchers. The Theoretical, Empirical and Policy Foundations for Building Social Innovation in Europe, Bruxelles, Commissione Europea.
- Westley F. (2013), “Social Innovation and Resilience: How One Enhances the Other”, Stanford Social Innovation Review, 11(3), 6-8.
Suggerimenti di lettura
- Addarii F. e F. Lipparini (2017), Vision and Trends of Social Innovation for Europe, Lussemburgo, Commissione Europea, Publication Office of the European Union.
- Longo, F., Maino, F. (a cura di) (2021), Platform welfare. Nuove logiche per innovare i servizi locali, Egea, Milano.
- Moulaert, F., MacCallum, D. (2019), Social Innovation, London, Edwad Elgar.
- Oosterlynck, S., Kazepov, Y., Novy, A. (a cura di) (2019), Local Social Innovation to Combat Poverty and Exclusion. A Critical Appraisal, Bristol, Policy Press.