Ritorno dell'educazione
Premessa
Il rapporto OCSE (2018) scrive: “L’obiettivo ultimo delle politiche educative non è semplicemente fornire accesso a tutti i livelli educativi, ma anche assicurare che tutti gli studenti acquisiscano le necessarie abilità che li guidino nel corso della vita”.
Tra le principali finalità del sistema scolastico vi è quello di dotare bambini e ragazzi delle abilità tecniche, cognitive e relazionali (o come si usa dire, delle cosiddette hard e soft skills), propedeutiche al mondo del lavoro e fondamentali per lo sviluppo della propria sfera interpersonale. I benefici di tale obiettivo non ricadono soltanto sugli utenti ma la società stessa trae importanti vantaggi Questo è uno dei principi che giustifica l’investimento pubblico in educazione. La Tabella 1 mostra quanto alcuni tra i principali paesi europei investono in ciascun livello di istruzione per ciascuno studente. Si nota che in questo gruppo di paesi l’Italia è fanalino di coda in tutti i livelli di istruzione, i paesi che investono di più per ciascun studente sono invece Norvegia e Svizzera.
Tabella 1. Spesa pubblica per studente (valori espressi in euro, anno 2015)
Paese | Educazione della prima infanzia | Educazione primaria | Educazione secondaria inferiore | Educazione secondaria superiore | Educazione terziaria e superiore |
---|---|---|---|---|---|
Francia | 5,942.3 | 5,790.3 | 7,909.6 | 10,365.6 | 11,196.9 |
Germania | 6,965.3 | 6,534.8 | 8,071.4 | 9,510.4 | 13,550.6 |
Italia | 4,084.1 | 5,946.3 | 6,596.7 | 6,038.6 | 6,873.4 |
Norvegia | 17,275.7 | 14,437.7 | 15,859.4 | 19,391.5 | 30,534.0 |
Svizzera | 14,350.9 | 17,886.0 | 23,207.5 | 14,690.9 | 31,899.1 |
Regno Unito | 4,753.6 | 10,283.8 | 8,485.6 | 9,034.6 | 17,967.7 |
Fonte: Eurostat.
In particolare, la minore spesa pro capite in Italia è sul primo livello educativo, quello della prima infanzia. È interessante questo dato in quanto, come analizzato in studi recenti, il ritorno in educazione non è uguale per tutti i livelli. Heckman e Masterov (2007) dimostrano che un investimento di un dollaro in educazione produce un rendimento decrescente all’aumentare dell’età dell’individuo (si veda Figura 1). Per cui è proprio nei primi anni di educazione che questa teoria suggerisce di concentrare gli investimenti sulla persona.
Figura 1. Tasso di rendimento dell'investimento in capitale umano
L’idea che l’educazione debba essere considerata come un investimento affonda le proprie radici nella teoria del capitale umano proposta da Becker (1964). L’idea del Premio Nobel per l’economia è quella che l’educazione sia un investimento di lungo periodo su persone malleabili intellettualmente in cui esse rinunciano momentaneamente a entrare nel mondo del lavoro sostenendo costi indiretti (mancati redditi da lavoro) e diretti a fronte di futuri maggiori benefici privati a pubblici. In questa voce si descrivono i principali benefici che costituiscono il ritorno derivante dall’istruzione. Nello specifico, essi sono:
- più ingenti redditi da lavoro;
- migliori prospettive di carriera;
- maggior malleabilità ai cambiamenti del mercato del lavoro;
- contributo alla crescita economica;
- migliori condizioni di salute;
- riduzione della criminalità;
- cittadinanza più informata e attiva;
- maggiore coesione sociale.
Redditi da lavoro e prospettive di carriera
Il miglioramento dei redditi da lavoro e delle opportunità nel mercato del lavoro sono certamente gli effetti che più la persona tiene più in considerazione quando deve decidere se investire in educazione. In ogni Paese le persone con un grado di istruzione maggiore hanno più probabilità di ricevere un trattamento salariale migliore e di guadagnare posizioni lavorative più alte. Come mostrato nelle Figure 2 e 3, il caso italiano non fa eccezione.
Figura 2. Reddito medio da lavoro in Italia per livello di educazione nel 2016. Popolazione di riferimento: individui in età 25-64 anni
Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati IT-SILC.
La Figura 2 distingue tra redditi di lavoro dipendenti e autonomi. Si nota come in entrambi i casi il reddito da lavoro aumenta, in media, all’aumentare degli anni di istruzione passando da una media di 4.000 euro per i lavoratori dipendenti/1.000 euro per i lavoratori autonomi che non posseggono il titolo di scuola secondaria inferiore a 15.000 euro per i dipendenti/5.800 euro per gli autonomi con educazione terziaria. La differenza dei redditi percepiti tra titoli di studio è quindi evidente sia nei redditi da lavoro dipendente sia nei redditi da lavoro autonomo dichiarati nella componente italiana dell’indagine EU-SILC (European Union - Statistics on Income Living Conditions).
Figura 3. Composizione della qualifica professionale in Italia per titolo di studio nel 2016. Popolazione di riferimento: individui in età 25-64 anni
Fonte: Elaborazioni dell’autore su dati IT-SILC.
La Figura 3 mostra in che modo le qualifiche professionali sono ripartite a seconda del titolo di studio posseduto. Le qualifiche professionali seguono la definizione di ISCO-08 e sono raggruppate per livelli di competenze necessarie allo svolgimento del lavoro. Fanno parte del “livello alto” i dirigenti, le professioni intellettuali e scientifiche e le professioni tecniche intermedie; il “livello medio” è composto da impiegati d’ufficio, professionisti nelle attività economiche commerciali e nei servizi, il personale specializzato addetto all’agricoltura, alle foreste e alla pesca, artigiani e operai specializzati, conduttori di impianti e macchinari e addetti al montaggio. Infine, le professioni non qualificate costituiscono il “livello basso”. Mentre la qualifica professionale più elevata è quasi assente nei due livelli di istruzione più bassi (nella qualifica secondaria inferiore è il 12%), si nota che questa è sempre più preponderante nei livelli superiori ed è pari al 72% per le persone che posseggono qualifica terziaria o superiore. Inoltre, la percentuale di occupati per titolo di studio aumenta sensibilmente tra la prima categoria del titolo di studio (in cui sono occupati solo il 30% degli individui) e la popolazione con titolo di scuola secondaria superiore dove tre persone su quattro risultano in stato di occupazione.
Capacità di adattamento ai cambiamenti del mercato del lavoro
La capacità di adattarsi alle variazioni del mondo lavorativo è una proprietà che negli ultimi decenni sta assumendo sempre più importanza. Il mercato del lavoro non è un attore statico. Esso è composto da una domanda e un’offerta che si contaminano tra loro aggiustandosi e modificando la propria composizione più o meno rapidamente. Lo sviluppo tecnologico e i cambiamenti nell’organizzazione del mercato del lavoro spingono in particolare la domanda di lavoro a richiedere lavoratori sempre più qualificati, vale a dire con maggiori competenze e un’istruzione superiore o terziaria. Se da un lato la domanda di persone più qualificate è in aumento in tutti i paesi sviluppati, dall’altro ciò crea condizioni più complesse e difficili per chi possiede un titolo di studio meno qualificato. Questo vale sia per i lavoratori in entrata sia per chi ha iniziato a lavorare già da lungo tempo i quali corrono il rischio che le proprie competenze, in particolare quelle acquisite durante la carriera lavorativa, diventino sempre più obsolete. Per questo motivo hanno assunto un’importanza fondamentale i programmi di istruzione e formazione ai lavoratori, incentivati anche dall’Unione Europea.
Contributo alla crescita economica
I benefici fino a qui esposti relativi al mondo del lavoro non hanno soltanto riflessi di tipo privato. L’investimento in educazione apporta importanti benefici all’intero sistema economico di riferimento aumentando le conoscenze dei lavoratori i quali sono in grado di migliorare e rendere più efficiente il sistema produttivo. Una persona con un alto livello di educazione contribuisce di più alla crescita economica del proprio Paese. Il World Economic Forum propone di distinguere tre canali attraverso cui l’educazione influenza la produttività: essa aumenta la capacità dell’intera forza lavoro di svolgere più rapidamente i propri compiti; facilita il trasferimento di conoscenza riguardante le nuove informazioni, nuovi prodotti e le nuove tecnologie; aumentando la creatività in ambito lavorativo, sviluppa la capacità di un paese di creare nuove conoscenze, prodotti e tecnologie (Schwab, 2015).
Migliori condizioni di salute
Fino adesso sono stati descritti gli effetti che l’investimento in educazione arreca nel mondo del lavoro. Una maggiore istruzione però apporta anche benefici di tipo sociale determinando, direttamente e indirettamente, miglioramenti sulle condizioni di vita o la salute degli individui (Zimmeman et al, 2015; OCSE, 2018).
Prima di tutto, l’educazione garantisce lo sviluppo di capacità, di competenze e di caratteristiche personali che influenzano in diverso modo le condizioni di salute proprie e della società di appartenenza. Per esempio, i tratti della personalità influiscono sui comportamenti e abitudini della persona, tra cui quelli legati alla salute come la capacità di resilienza allo stress. Anche l’implementazione delle hard skills ha un effetto positivo sulla propria salute. Una buona base di educazione finanziaria riduce il rischio di non possedere le adeguate risorse finanziarie per spese impreviste tra cui quelle sanitarie oppure una migliore conoscenza della materia della medicina permette di comprendere e “navigare” nel sistema di assistenza sanitaria di appartenenza.
In secondo luogo, una maggior istruzione ha indirettamente un effetto positivo attraverso i maggiori redditi e le migliori condizioni lavorative affrontate. Una qualifica lavorativa più elevata è infatti in grado di offrire benefici alla cura della persona quali l’assicurazione sanitaria, una maggiore capacità economica a pagare spese sanitarie e il mantenimento di uno stile di vita (la qualità dell’alimentazione, per esempio) adeguato.
A quest’ultimo aspetto si collega infine quello delle caratteristiche dell’ambiente sociale di appartenenza, che è anch’esso determinato in buona parte dalla qualifica scolastica. Le persone con la medesima educazione tendono a vivere nelle stesse comunità e negli stessi quartieri. L’ambiente sociale e abitativo di appartenenza influenza gli aspetti inerenti alla salute della persona sotto diversi aspetti: l'accesso a un’alimentazione più o meno corretta, la vicinanza a strutture che forniscono spazi sociali che permettono migliori condizioni psicologiche, l'accesso all'assistenza sanitaria, le opportunità lavorative nei pressi della comunità, l'esposizione ambientale alle tossine e la criminalità. Quest’ultima può influenzare l’aspetto sanitario direttamente e indirettamente: nelle zone con più basso livello di istruzione vi è in media un maggior tasso di criminalità che provoca un aumento del tasso di mortalità. Inoltre, vivere in questi ambienti causa un aumento dello stress e della paura, provocando effetti negativi sulla salute.
Cittadinanza informata e attiva e maggiore coesione sociale
L’ultimo ma non meno importante beneficio derivante dall’educazione è la formazione della società civile. L’educazione ha infatti il compito di munire gli studenti delle conoscenze necessarie perché si formino opinioni informate su questioni come la politica economica, il riscaldamento globale, lo scontro di civiltà, la globalizzazione, l'immigrazione e i cambiamenti tecnologici. Da una maggior educazione derivano una serie di comportamenti positivi per l’intera società quali l’associazionismo, il volontariato, la donazione, l’impegno politico, la riduzione della tendenza all’individualismo. Questi aspetti sono inoltre alla base della riduzione delle diseguaglianze all’interno della società. Nel loro libro, Green et al. (2006), propongono di distinguere due canali attraverso cui l’educazione impatta sulla coesione sociale. Il primo canale agisce indirettamente, attraverso il modo in cui distribuisce le competenze, e quindi i redditi, le opportunità e lo status tra le popolazioni adulte; e il secondo attraverso come socializza gli studenti attraverso la formazione di valori e identità.
Con riferimento a uno dei principali aspetti della coesione sociale, la diseguaglianza dei redditi, è esplicativa l’evidenza illustrata nel rapporto OCSE (2018), nel quale si osserva come tra i paesi sviluppati la quota di popolazione 25-64 anni senza un diploma di qualifica post-secondaria sia correlata con una maggiore diseguaglianza dei redditi.
Ritorno all’educazione ma non solo
In questa voce si è fatto riferimento all’educazione esclusivamente come un investimento di lungo periodo. Nel tentativo di essere più esaustivi, è importante, concludendo, sottolineare che questa non è l’unica dimensione con cui è possibile misurare i benefici derivanti dall’istruzione (Jacob et al., 2012). Ad esempio, negli stessi anni in cui Becker (1964) articolò la teoria dell’investimento in capitale umano, Schultz (1963) propose di distinguere i benefici in tre possibili categorie non contrapposte tra loro: rendimento degli investimenti, ma anche valore di consumo corrente e valore di consumo futuro. Con “valore di consumo corrente” ci si riferisce alla utilità immediata della partecipazione nell’istruzione. Quella cioè che deriva dall’essere iscritti e frequentare un percorso scolastico nell’anno in corso. Il “valore di consumo futuro” è invece spesso inteso come il rendimento futuro non monetario che l’individuo intende consapevolmente acquisire al momento della scelta di proseguire nell’istruzione.
Riferimenti bibliografici
- Becker G.S. (1964), Human capital. A Theoretical and Empirical Analysis with Special References to Education, Champaign, University of Illinois at Urbana-Champaign.
- Green A., J. Preston e J. Janmaat (2006), Education, equality and social cohesion: A comparative analysis, Basingstoke (UK), Palgrave Macmillan.
- Heckman J.J. e D.V. Masterov (2007), “The productivity argument for investing in young children”, Applied Economic Perspectives and Policy, 29(3), 446-493.
- Jacob B., B. Mccall e K. Stange (2012), The consumption value of education: Implications for the postsecondary market (accessibile a questo link).
- OCSE (2018), Education at a Glance 2018: OECD Indicators, Parigi, OCSE.
- Schultz T. (1963), The Economic Value of Education, New York, Columbia University Press.
- Schwab K. (2015, a cura di), The global competitiveness report 2015-2016, Ginevra, World Economic Forum.
- Zimmerman E.B., S.H. Woolf e A. Haley (2015), Understanding the relationship between education and health: A review of the evidence and an examination of community perspectives, Rockville (MD), Agency for Healthcare Research and Quality.
Suggerimenti di lettura
- Atkinson, A. B. (2015). Inequality. Harvard University Press.
- Carey D. (2017), “Adapting to the changing labour market in New Zealand”, OECD Economics Department Working Papers, 1420.
- Casalone G. e D. Checchi (2018), “Scuola e università”, in G. Arachi e M. Baldini (a cura di), La finanza pubblica italiana. Rapporto 2018, 237-268, Bologna, il Mulino.
- Cunha F., J.J. Heckman, L. Lochner e D.V. Masterov (2006), “Interpreting the evidence on life cycle skill formation”, in E.A. Hanushek and F. Welch (a cura di), Handbook of the Economics of Education, Volume 1, 697-812, Amsterdam, Elsevier.
- Jacob B., B. Mccall e K. Stange (2012), The consumption value of education: Implications for the postsecondary market (accessibile a questo link).