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Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Migrazioni

Scritto da: Maurizio Ambrosini

 

Definizione. Il concetto di immigrato e i problemi relativi

Uno degli aspetti salienti delle disuguaglianze contemporanee è rappresentato da quelle forme di mobilità geografica che chiamiamo migrazioni. Le migrazioni di popolazioni, in forme pacifiche o cruente, volontarie o coatte, hanno accompagnato da sempre la storia dell’umanità. Soprattutto però con la formazione e il consolidamento degli Stati moderni nel XIX secolo, le migrazioni cominciano ad assumere il profilo che oggi conosciamo.

L’immigrato può essere così definito, riprendendo un documento dell’ONU: una persona che si è spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno (Kofman et al., 2000).

Nella definizione citata troviamo tre elementi: 1) uno spostamento territoriale: l’immigrato è anzitutto colui che trasferisce la sua residenza in un luogo diverso da quello in cui viveva stabilmente in precedenza (si noti che la definizione non chiama in causa il luogo di nascita); 2) l’attraversamento di un confine nazionale: le migrazioni, con crescente enfasi negli ultimi decenni, entrano in tensione con la sovranità che gli Stati esercitano sul proprio territorio, sorvegliandone i confini, controllando gli stranieri che chiedono di essere ammessi, e selezionandoli in base ai propri criteri e interessi; 3) una dimensione temporale, qui fissata convenzionalmente in un anno: l’immigrato si distingue dal turista, dal viaggiatore per affari, dal visitatore occasionale, a motivo di una residenza prolungata nel paese che lo riceve. Questa residenza prolungata nel tempo pone una serie di questioni e di sfide sia al soggetto che migra, sia alla società in cui si inserisce: basti pensare al fatto che molto spesso si parla una lingua diversa da quella che l’immigrato usava abitualmente.

Nello stesso tempo, la definizione proposta apre una serie di problemi. Anzitutto, non considera le migrazioni interne a uno stesso paese, come le migrazioni dal Sud al Nord che tanta importanza hanno avuto nella storia italiana. In secondo luogo, esclude le migrazioni stagionali, ossia quelle di pochi mesi, che pure tuttora avvengono e sono anche incoraggiate dall’Unione Europea sotto l’etichetta di migrazioni circolari. In terzo luogo, non tiene conto delle cosiddette seconde generazioni, ossia dei figli degli immigrati: quando nascono nel nuovo paese di residenza dei genitori, in realtà non hanno attraversato alcun confine. Ciò nonostante, in molti sistemi legislativi tra cui il nostro, sono considerati stranieri e rimangono tali a più o meno a lungo. Come quarto aspetto, va ricordato il caso dei discendenti di antichi emigranti che, nel caso italiano come in altri, possono conservare o recuperare agevolmente la cittadinanza: se si spostano e vengono a risiedere nel paese da cui sono partiti i loro progenitori, non sono classificati come immigrati.

Non è quindi agevole come appare a prima vista definire precisamente chi siano gli immigrati. A questa difficoltà si aggiunge una questione di rappresentazione sociale degli immigrati: benché possano perfettamente ricadere nella definizione proposta, noi non chiamiamo immigrati né i cittadini francesi, né gli statunitensi, né i giapponesi o i sudcoreani. Il termine immigrati, nell’uso comune, è riservato agli stranieri che provengono da paesi considerati più poveri del nostro (Ambrosini, 2017). Ma anche tra di essi tendiamo a operare delle distinzioni: non chiamiamo immigrati né i calciatori famosi, né i cantanti celebri, né gli uomini d’affari e gli investitori. Le stesse norme legali prevedono di solito delle eccezioni per queste categorie, rispetto ai trattamenti più restrittivi riservati a quanti sono definiti come immigrati. Il concetto di “immigrato” comporta dunque una valenza sottilmente peggiorativa: individua gli stranieri poveri che risiedono in un paese diverso dal proprio. Lo stesso accade, in maniera ancora più eloquente, con il termine “extracomunitari”: malgrado derivi dal linguaggio giuridico, e identifichi di per sé i cittadini di paesi esterni all’Unione europea, nel linguaggio comune non viene adottato nei confronti di cittadini svizzeri o canadesi, mentre accade tuttora di frequente che vi si comprendano i rumeni. Si ritorna in un certo senso al significato etimologico del termine: extracomunitari sono coloro che non riteniamo appartengano alla nostra comunità.

Possiamo cogliere però anche un aspetto dinamico della rappresentazione dei cittadini stranieri: greci, portoghesi o spagnoli, come gli italiani nell’Europa settentrionale, nel passato erano classificati come immigrati. Oggi questo è meno vero. Una parte degli immigrati dall’Europa Orientale, come i polacchi, cominciano a non essere più considerati immigrati allo stesso titolo di chi proviene dall’Africa o dai paesi poveri dell’Asia. Su un altro versante, grazie al recente sviluppo economico, i brasiliani hanno ottenuto norme meno rigide per l’ingresso e un’immagine sociale più prossima a quella degli stranieri provenienti dal Nord del mondo. Allargamenti dei confini politici, come nel caso dell’Unione europea, e sviluppo economico tendono a ridefinire i confini tra noi (gli italiani), i nostri amici (i cittadini stranieri provenienti da paesi sviluppati, che siamo disposti a lasciar entrare, circolare e commerciare liberamente, o le élite dei paesi considerati poveri) e gli altri, ossia gli immigrati per definizione.

Per concludere su questo punto: gli immigrati sono contraddistinti da una doppia alterità. Sono stranieri e poveri. Se cade uno dei due aspetti, cade anche l’inquadramento di una persona come immigrata. Il caso delle migrazioni mostra la pertinenza di un approccio costruzionista allo studio dei fenomeni sociali: la definizione di un certo ambito o oggetto come socialmente rilevante, e specialmente come un problema o una minaccia, risente del punto di vista, delle preoccupazioni, degli interessi di chi lo osserva, lo giudica politicamente e ha il potere di circoscriverlo e regolamentarlo. Questo potere ha un’altra conseguenza. Genera una stratificazione della cittadinanza, producendo una sorta di piramide rovesciata in cui al vertice si collocano i cittadini nazionali, titolari di pieni diritti, seguiti dai cittadini comunitari, poi dagli immigrati con permessi di soggiorno di lunga durata, poi da quelli con permessi che richiedono rinnovi periodici, poi dagli immigrati stagionali. Per ultimi vengono gli immigrati in condizione irregolare, sebbene anche questo concetto sia tutt’altro che preciso e univoco.

La successione temporale tra primi arrivi, legati principalmente al lavoro, e arrivi successivi, in cui entrano in gioco le motivazioni familiari, genera delle sequenze tipiche dei flussi migratori, in genere indicate come fasi o stadi delle migrazioni. Pur con alcune varianti, si distingue di solito un primo momento, in cui arrivano lavoratori giovani, soli, con un orizzonte di temporaneità. In un secondo momento, i flussi si consolidano, entrano altri immigrati legati ai primi, cresce l’età media e l’orizzonte temporale si allunga. In un terzo momento, si attivano i ricongiungimenti ed entrano in scena le famiglie. La popolazione immigrata si differenzia, perché oltre ai lavoratori aumenta il numero dei minori e delle casalinghe. Nel quarto momento, gli immigrati acquistano consapevolezza di un insediamento ormai irreversibile, formano in alcuni casi istituzioni proprie (associazioni, chiese, giornali o stazioni radio-televisive), più in generale rivendicano una piena inclusione nella società ricevente (cfr. Castles et al., 2014).

 

I diversi tipi di immigrati

Dopo aver definito il concetto di immigrato, un secondo passaggio consiste nell’individuare i diversi tipi di immigrati: una questione che aumenta di importanza, anche per effetto dei crescenti sforzi di regolamentazione normativa dell’immigrazione, che comportano una precisa definizione delle motivazioni che autorizzano al soggiorno in un paese diverso dal proprio e i diritti concessi ai cittadini stranieri. Ciò significa che crescono le disuguaglianze, giuridiche e sociali, all’interno della popolazione immigrata. Le principali categorie di immigrati sono le seguenti.

  1. Gli immigrati per lavoro. Rappresentano la figura più importante nelle migrazioni moderne: di solito ammessi all’inizio per periodi limitati, senza familiari al seguito, tendono poi in ampia misura a insediarsi e a richiamare i familiari. Toccano a loro soprattutto le mansioni meno ambite, per le quali le necessità di manodopera non sono coperte dall’offerta di lavoro nazionale. Possiamo parlare in proposito dei “lavori delle cinque P”: pesanti, pericolosi, precari, poco pagati, penalizzati socialmente. Se nell’immagine prevalente questa figura è declinata al maschile, in realtà oggi in Italia come in vari altri paesi è sempre più folta la popolazione femminile che emigra sola, per ragioni di lavoro, trovando occupazione soprattutto presso le famiglie e nei servizi alle persone.
  2. Gli immigrati stagionali o lavoratori a contratto. Di solito sono sottoposti a una regolamentazione apposita, che ne permette l’ingresso per periodi limitati in risposta ai fabbisogni di settori come l’agricoltura, l’edilizia, l’industria alberghiera. In Europa negli ultimi anni questa forma di migrazione incontra un accresciuto interesse da parte dei decisori politici. È stata ridefinita con il termine eufemistico di migrazione circolare e presentata come un’opzione che avvantaggia i tre principali attori coinvolti: le società di destinazione, le società di origine e i migranti stessi.
  3. Gli immigrati qualificati e gli imprenditori (skilled migrants). Sono un’altra categoria favorita dalle politiche migratorie di molti paesi sviluppati, che li vedono come una risorsa in termini di incremento del capitale umano a disposizione dei propri sistemi economici e come una popolazione più facilmente integrabile: ricercatori, tecnici informatici, oppure investitori e operatori economici, ma soprattutto personale medico e paramedico. Gli studenti stranieri possono essere visti come un caso particolare all’interno di questa categoria, almeno in teoria frammisto con l’immigrazione circolare prima ricordata. Proprio il caso degli studenti ci ricorda però che l’immigrazione qualificata vantaggiosa per i paesi riceventi, dal punto di vista dei paesi di origine può rappresentare invece un brain drain, un drenaggio di cervelli.
  4. I familiari al seguito. Sono coloro che emigrano non per lavoro, ma in quanto congiunti di immigrati entrati per lavoro e stabilmente insediati. Dalla metà degli anni ‘70 il loro numero è cresciuto, in Europa e negli Stati Uniti, anche per effetto delle restrizioni nei confronti di nuovi ingressi per lavoro. Oggi rappresentano in molti paesi, Stati Uniti in testa, la ragione principale dell’immigrazione regolare. Come regola generale, dopo le braccia arrivano le famiglie.
  5. Alle migrazioni familiari si collega il caso dei migranti di seconda generazione: di solito questo termine è inteso in senso ampio, così da comprendere tanto i figli di immigrati nati nel paese ricevente, quanto quelli nati nel paese d’origine e ricongiunti in seguito a varie età.
  6. Una conseguenza indesiderata dell’inasprimento delle politiche migratorie è invece la formazione di altre figure, quelle dell’immigrato in condizione irregolare, del clandestino, della vittima del traffico di esseri umani. L’immigrato in condizione irregolare è colui che, dopo essere entrato in maniera regolare, si è trattenuto sul territorio dopo la scadenza del permesso che lo autorizzava all’ingresso e a un soggiorno provvisorio (principalmente, il visto turistico). Il clandestino, caso in realtà più raro e termine oggi in discussione per il suo effetto stigmatizzante, è invece chi attraversa il confine sprovvisto di documenti idonei, oppure ricorrendo a documenti falsi, o anche corrompendo gli addetti al controllo. La vittima del traffico non ha invece scelto con piena consapevolezza le modalità della migrazione e dell’inserimento nella società di destinazione: si tratta di persone straniere (spesso giovani donne) coinvolte con la forza o più spesso con l’inganno, e costrette a svolgere attività che procurano introiti alla rete criminale che le controlla, come nel caso tipico della prostituzione forzata (Abbatecola, 2010).

Sotto il profilo sociologico, anche la distinzione tra migrazioni regolari e irregolari è meno evidente di quanto normalmente si crede. In Italia governi di vario orientamento hanno promulgato 7 sanatorie in 25 anni, oltre ad altri provvedimenti di regolarizzazione (Colombo, 2012). La maggior parte degli immigrati adulti dopo essere entrati regolarmente, hanno conosciuto una fase più o meno lunga di irregolarità, per poi riemergere alla legalità. Perdendo il lavoro, dopo un certo periodo potrebbero invece ripiombare in una condizione irregolare. Sposando un italiano o un’italiana, potrebbero al contrario acquisire la cittadinanza. Sono insomma le leggi dello Stato ospitante a definire la condizione di regolarità o irregolarità di un migrante. Questa non è un’etichetta indelebile, ma un attributo mutevole.

  1. Esistono poi i migranti di ritorno: coloro che rientrano nei luoghi di origine dopo aver trascorso un periodo della loro vita in un altro paese. Malgrado le apparenze, non è un’esperienza facile. Comporta anch’essa disillusioni e problemi di adattamento, tanto che non di rado i migranti di ritorno in seguito ripartono nuovamente.
  2. Un caso particolare di migrazioni è infine quello dei rifugiati e richiedenti asilo, o come oggi si tende a definire, delle “migrazioni forzate”. Il rifugiato è definito della convenzione delle Nazioni Unite del 1951 (Convenzione di Ginevra) come una persona che risiede al di fuori del suo paese di origine, che non può o non vuole ritornare a causa di un «ben fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale, opinione politica». Il richiedente asilo è invece più genericamente colui che attraversa un confine in cerca di protezione, ma non rientra nei rigidi criteri della Convenzione di Ginevra, giacché in genere non riesce a provare di essere il bersaglio individuale di una persecuzione esplicita: per esempio, scappa da una zona di guerra, oppure fa parte di una minoranza che nel suo insieme è soggetta a persecuzioni. Le istituzioni internazionali e i governi hanno così dovuto prevedere nuove figure e nuove forme di tutela, come la protezione umanitaria, accordata a titolo temporaneo e con minori benefici rispetto a quelli concessi ai rifugiati pienamente riconosciuti (Marchetti, 2009).

Quasi ovunque la disciplina dell’asilo è stata inasprita e molti governi, pressati dalle rispettive opinioni pubbliche, adottano una “retorica dell’abuso” (Schuster, 2009), sollevando il sospetto di un ricorso strumentale al diritto d’asilo come tattica di aggiramento delle restrizioni all’immigrazione. Va però ricordato che oltre l’80% dei rifugiati sono accolti nei paesi del Sud del mondo, mentre l’Unione Europea nel suo complesso ne accoglie meno del 10% (UNHCR, 2018). La precarietà della tutela accordata alla maggior parte dei richiedenti asilo degli ultimi vent’anni, insieme alla lunghezza e alla complessità delle procedure, ha generato una popolazione dallo status incerto e reversibile, obbligata a vivere per anni sotto la minaccia di un possibile rimpatrio forzato.

 

Riferimenti bibliografici

  • Abbatecola E. (2010, a cura di), “Gli scenari delle prostituzioni straniere: introduzione”, Mondi migranti, 1/2010, 31-172.
  • Ambrosini M. (2017), Migrazioni, Milano, EGEA.
  • Castles S., H. De Haas e M. J. Miller (2014), The age of migration: international population movements in the modern world, New York, Guilford Press.
  • Colombo A. (2012), Fuori controllo? Miti e realtà dell’immigrazione in Italia, Bologna, Il Mulino.
  • Kofman E., A. Phizacklea, P. Raghuram e R. Sales (2000), Gender and International Migration in Europe. Employment, Welfare and Politics, Londra, Routledge.
  • Marchetti C. (2009, a cura di), “Rifugiati e richiedenti asilo”, Mondi Migranti, 3/2009, 27-150.
  • Schuster L. (2009), “Dublino II ed Eurodac: esame delle conseguenze (in)attese”, Mondi Migranti, 3/2009, 37-56.
  • UNHCR (2018), Global trends. Forced Displacement in 2017, Ginevra, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

 

Suggerimenti di lettura

  • Caritas Italiana e Fondazione Migrantes (2018), XXVII Rapporto immigrazione 2017-2018. Un nuovo linguaggio per le migrazioni, Todi (PG), Tau.
  • IDOS (2018), Dossier statistico immigrazione 2018, Roma, Centro Studi e Ricerche IDOS.
Maurizio Ambrosini
Maurizio Ambrosini è docente di Sociologia delle migrazioni nell’Università degli Studi di Milano. Insegna inoltre nell’università di Nizza. È responsabile scientifico del Centro studi Medì di Genova, dove dirige la rivista “Mondi migranti” e la Scuola estiva di Sociologia delle migrazioni. È autore di “Sociologia delle migrazioni”, nonché di numerosi articoli e saggi pubblicati su riviste e volumi in inglese, spagnolo, francese, tedesco, portoghese e cinese. Dal luglio 2017 fa parte de CNEL in qualità di esperto.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena