Insicurezza del lavoro
Premessa
La società contemporanea è caratterizzata da alti livelli di incertezza che saturano quasi tutti i settori della vita quotidiana, compreso il mercato del lavoro (Bauman, 2007). Da una prospettiva generale, l’intensificarsi della competizione economica globale, l’instabilità politica e la crisi economico-finanziaria hanno esercitato forti pressioni su molte organizzazioni, che hanno reagito modificando la natura e l’organizzazione del lavoro (Schoss, 2017). In effetti, al fine di affrontare le difficoltà e mantenere un alto livello di competitività, la maggior parte delle organizzazioni ha impiegato misure drastiche come fusioni, ridimensionamenti, acquisizioni, cessioni di rami d’azienda, licenziamenti, che hanno spesso portato a strutture flessibili, a ridurre la forza lavoro o cambiarne la composizione (ad esempio proporzione più elevata dei lavoratori a termine). Data l’elevata turbolenza ambientale, le imprese sono sempre più orientate a adottare prospettive a breve termine. Di conseguenza, l’insicurezza lavorativa è aumentata in modo pervasivo in diversi strati della forza lavoro, come sottolineano anche numerosi sondaggi basati su campioni rappresentativi di grandi dimensioni come ad esempio Eurostat. Oggigiorno, la natura stessa del lavoro è cambiata rispetto al passato: da un lavoro sicuro e garantito si è passati, in molti casi e in breve tempo, ad un lavoro strutturalmente precario e insicuro.
Negli ultimi decenni è stata data grande attenzione alla crescente disuguaglianza salariale e all’insicurezza del lavoro (o anche job-insecurity, JI) in molti paesi sviluppati. Il difficile contesto macroeconomico dal 2007 è stato caratterizzato da una crescita salariale nominale più lenta e da una minore qualità del lavoro, a causa della maggiore insicurezza del mercato del lavoro nella maggior parte dei paesi OCSE. Questo scenario macro ha anche cambiato la natura del lavoro, passando da una prospettiva tradizionale sicura a una più insicura e instabile. In risposta alla crisi, negli anni 2000 la maggior parte dei paesi europei ha introdotto cambiamenti significativi nel mercato del lavoro, indirizzandolo nella sostanza verso contratti di lavoro più flessibili. Il rischio attuale è che questa situazione possa essere esacerbata dal cambiamento tecnologico e dall’ascesa della cosiddetta "gig economy", interessante fenomeno di questa modifica epocale, i cui numeri sono ormai non trascurabili anche per il nostro paese (De Minicis et al. 2019). All’aumentare del rischio occupazionale - come diventare disoccupati o avere un contratto temporaneo - aumentano anche la percezione e la paura della job-insecurity tra i dipendenti. Così, attualmente la JI è considerata uno dei più potenti fattori di stress al lavoro con numerose ripercussioni sia sugli individui sia sulle stesse organizzazioni (Sverke e Hellgren, 2002).
L’insicurezza sul mercato del lavoro in Italia
L’Italia è tra dei paesi che ha sofferto di più della crisi, in termini di PIL e occupazione e di conseguenza lo Stato sociale ha subito cambiamenti significativi. Sono trascorsi ormai 5 anni dalla fine della recessione e il mercato del lavoro sembra essere strutturalmente cambiato. In uscita dalla fase recessiva, la ripresa in atto ha sì recuperato i precedenti volumi occupazionali (ISTAT), ma sembra essere a forte intensità di un determinato tipo di lavoro, che appare arduo ricondurre al lavoro standard, inteso come lavoro a tempo pieno e indeterminato. Il lavoro appare molto più discontinuo nel tempo rispetto al passato, con periodi di occupazione, il più delle volte inferiori a un anno, alternati a periodi di inattività o disoccupazione. La maggiore crescita negli ultimi anni delle attivazioni di contratti a termine rispetto ai contratti a tempo indeterminato – al cui interno cresce, per altro, la quota del part-time e del part-time involontario - appare il segnale di un possibile nuovo assetto nella strategia di utilizzo del lavoro da parte delle imprese. (Filippi et al. 2020).
La banca dati sulla Qualità del Lavoro di INAPP (INAPP-QdL) consente di esaminare l’evoluzione dell’insicurezza oggettiva (quota di lavoratori a termine) e soggettiva (quota i lavoratori che ritiene di non poter avere più lavoro, suo malgrado nei prossimi 12 mesi) per il nostro paese. Si può osservare (Figura 1) che, la quota di lavoratori a tempo determinato sul totale dipendenti dal 2010 al 2015 è sostanzialmente rimasta immutata (anzi diminuita di quasi 1 punto percentuale dal 12% all’11%), mentre la quota di lavoratori insicuri sul totale dipendenti) aumenta, invece, in modo significativo, passando dal 17 al 24%, evidenziando quindi che quasi 1 lavoratore su 4 si considera a rischio di perdita di lavoro. inoltre, la quota dei lavoratori che valuta di poter perdere il proprio lavoro nei successivi 12 mesi sul totale dei lavoratori a tempo indeterminato è passata dal 10 al 19%: ciò significa che quasi 1 lavoratore a tempo indeterminato su 5 considera il proprio lavoro insicuro (Scicchitano, 2018).
Figura 1. L’insicurezza sul mercato del lavoro oggettiva e soggettiva in Italia
Fonte: elaborazione su dati INAPP - QdL (Scicchitano, 2018)
La letteratura internazionale sulla job insecurity
Nella letteratura psicologica, l’insicurezza lavorativa fa riferimento alla valutazione soggettiva da parte del lavoratore della probabilità e della preoccupazione connesse a una futura involontaria perdita sia della posizione lavorativa in sé, sia di importanti caratteristiche intrinseche proprie del lavoro (cfr., Chirumbolo et al., 2020; Hellgren, 2002). Questa definizione mira a integrare diversi aspetti che rappresentano il costrutto dell’insicurezza del lavoro. Un ruolo chiave, in questo caso, è svolto dalla componente soggettiva sottesa alla valutazione di un evento incerto, vale a dire la futura perdita non desiderata del lavoro, che l’individuo compie sulla base della propria percezione dell’ambiente di lavoro e del contesto più ampio (sociale, politico, economico, culturale). In questo senso, le ricerche dimostrano come la stessa situazione lavorativa “oggettiva” può essere percepita in maniera alquanto diversa dalle persone. Non è detto, infatti, che gli individui che si trovano in una stessa situazione lavorativa sperimentino i medesimi livelli di insicurezza lavorativa né che ne siano ugualmente influenzati. A questo proposito è bene sottolineare come, sebbene sia fortemente correlata, la percezione soggettiva dell’insicurezza lavorativa rappresenti un fenomeno diverso da un’insicurezza lavorativa "oggettiva" derivata, ad esempio, dal particolare status professionale come nel caso del lavoro temporaneo o in somministrazione (Sverke e Hellgren, 2002).
All’interno di questa prospettiva, si possono distinguere diversi aspetti dell’insicurezza lavorativa intesa come percezione soggettiva. La prima distinzione riguarda due grandi dimensioni, denominate: 1) insicurezza lavorativa quantitativa connessa alla perdita del lavoro nel suo insieme; e 2) insicurezza lavorativa qualitativa che riguarda invece la perdita di aspetti del lavoro qualitativamente importanti come, per esempio, le prospettive di carriera, l’aumento dello stipendio, l’importanza della mansione e del ruolo esercitato, la possibilità di svolgere attività lavorative stimolanti (Sverke e Hellgren, 2002). La seconda distinzione si riferisce a due sfaccettature più focalizzate chiamate: a) insicurezza lavorativa affettiva che concerne l’aspetto emotivo di paura, preoccupazione e ansia di perdere il proprio lavoro o aspetti importanti di esso; e b) insicurezza lavorativa cognitiva cioè la probabilità percepita di perdere la propria posizione di lavoro o aspetti rilevanti di essa. In Tabella 1 sono rappresentate le diverse sotto-dimensioni della JI così come sono state qui di sopra definite (Chirumbolo et al., 2020).
Tabella 1. Le diverse sfaccettature della job insecurity (Chirumbolo et al., 2020)
Focus della Job Insecurity | Tipo di job insecurity | |
Quantitativo | Qualitativo | |
Cognitivo | Probabilità percepita di perdere il proprio lavoro | Probabilità percepita di perdere aspetti importanti del proprio lavoro (p.es. carriera, salario, ruolo, mansione) |
Emotivo | Paura e preoccupazione di perdere il proprio lavoro | Paura e preoccupazione di perdere aspetti importanti del proprio lavoro (p.es. carriera, salario, ruolo, mansione) |
Le ricerche empiriche degli ultimi 25 anni hanno dimostrato come i costi psicosociali dell’insicurezza lavorativa siano molto elevati e come le sue conseguenze siano negative e dannose sia per la salute fisica e psicologica degli individui, sia per il benessere delle organizzazioni. Di seguito riassumiamo i principali e più rilevanti risultati di queste ricerche.
Gli individui che percepiscono una maggiore insicurezza lavorativa hanno una peggiore salute psicologica: in particolare risultano essere maggiormente depressi, ansiosi, stressati, e hanno una minore autostima e senso di auto-efficacia (Sverke et al., 2002). Una maggiore insicurezza lavorativa è anche connessa ad una più elevata conflittualità interpersonale a diversi livelli: in famiglia, con gli amici, a lavoro con i colleghi. Dal punto di vista economico, inoltre, maggiore percezione di insicurezza lavorativa significa anche maggiore probabilità di rinunciare a importanti obiettivi personali di vita (p.es. metter su famiglia, sposarsi, contrarre un mutuo), minore propensione al consumo di beni durevoli e non, maggiore inclinazione ad accettare peggiori condizioni lavorative e, forse per questo motivo, ad evidenziare un peggiore divario salariale rispetto a individui che si percepiscono soggettivamente sicuri del proprio lavoro (Scicchitano et al., 2020). L’insicurezza lavorativa risulta correlata anche ad un significativo peggiore stato di salute fisica: individui con più alta insicurezza, infatti, presentano più frequentemente maggiori sintomi somatici quali, per esempio, maggiore incidenza di disturbi cardiovascolari (ipertensione arteriosa, tachicardia, livelli di colesterolo etc), di malattie delle vie respiratorie (raffreddore, influenza, mal di gola etc.), e di dolori a carico dell’apparato muscolo-scheletrico (mal di schiena, problemi alle articolazioni etc.).
L’impatto negativo dell’insicurezza lavorativa sul benessere e il funzionamento delle organizzazioni non risultano essere da meno. I lavoratori con una maggiore insicurezza lavorativa sono meno soddisfatti del proprio lavoro, meno motivati e meno impegnati; hanno un rendimento più basso ed evidenziano meno vigore, dedizione ed entusiasmo sul lavoro (Cheng e Chan, 2008; Sverke et al., 2002). Rispetto alla propria organizzazione, inoltre, i lavoratori con una maggiore insicurezza lavorativa risultano avere un minor livello di identificazione e di fiducia, sentendosi al contempo molto meno legati e impegnati verso di essa. Dal punto di vista dei comportamenti, poi, i lavoratori con una maggiore insicurezza lavorativa sono più soggetti ad incidenti e infortuni sul lavoro ed evidenziano una maggiore propensione a mettere in atto persistenti condotte ostacolanti e non cooperative, come assenteismo cronico e ritardi sistematici sul lavoro, e talvolta a commettere veri atti di sabotaggio nei confronti dell’azienda. I lavoratori insicuri e precari, inoltre, essendo più vulnerabili dal punto di vista dello status occupazionale, sono oggetto più frequentemente di molestie sessuali e atti di bullismo nei contesti organizzativi. Questi effetti negativi sono stati documentati sia per ciò che riguarda la percezione e la paura di perdere il proprio posto di lavoro (insicurezza lavorativa quantitativa), sia la percezione e la paura di perdere aspetti importanti del proprio lavoro (insicurezza lavorativa qualitativa).
In conclusione, quindi, gli studi evidenziano come l’insicurezza lavorativa oggettiva e soggettiva, quando diventa cronica, si configuri come un vero e proprio fattore di rischio psicosociale (Chirumbolo et al., 2017) che può creare fratture tra individui e gruppi e dare così origine a profonde diseguaglianze sociali ed economiche (Scicchitano et al., 2020).
Riferimenti bibliografici
- Bauman Z. (2007), Liquid times: Living in an age of uncertainty, Cambridge, Polity Press.
- Chirumbolo A., F. Urbini, A. Callea, A. Lo Presti e A. Talamo (2017), “Occupations at Risk and Organizational Well-Being: An Empirical Test of a Job Insecurity Integrated Model”, Frontiers in Psychology, 8, 1-13.
- Chirumbolo A., F. Urbini e A. Callea (2020), “Dimensionality, reliability and validity of a Multidimensional Job Insecurity Questionnaire. Preliminary findings in the Italian context”, Rassegna di Psicologia, 37(1), 35-46.
- De Minicis M., P. Esposito, S. Marsiglia, M. Marocco e S. Scicchitano (2019), “Gli internauti e i lavoratori on line: prime evidenze da INAPP-PLUS 2018”, Inapp, Policy Brief, 15.
- Filippi M., Marocco M., Quaranta R., Scicchitano S. (2020), Il lavoro discontinuo di breve e brevissima durata in Italia nell’ultimo decennio: l’evidenza dei dati amministrativi, Roma, INAPP Working Papers, 45.
- Scicchitano S. (2018), in “La percezione dell’insicurezza del lavoro”, in C. Dell’Aringa (a cura di) L’esplosione dei lavori temporanei: fattori ciclici o strutturali?, 79-86, AREL.
- Scicchitano S., M. Biagetti e A. Chirumbolo (2020), “More insecure and less paid? The effect of perceived job insecurity on wage distribution”, Applied Economics, 52(18), 1998-2013.
- Shoss M.K. (2017), “Job Insecurity: An Integrative Review and Agenda for Future Research”, Journal of Management, 43(6), 1911-1939. Applied Psychology, 51(1), 23-42.
- Sverke M. e J. Hellgren (2002), “The Nature of Job Insecurity: Understanding Employment Uncertainty on the Brink of a New Millennium”, Applied Psychology, 51(1), 23-42.
- Sverke M, J. Hellgren e K. Näswall (2002), “No security: A meta-analysis and review of job insecurity and its consequences”, Journal of Occupational Health Psychology, 7(3), 242-264.
Suggerimenti di lettura
- Cheng G.H.-L. e D.K.-S. Chan (2008), “Who suffers more from job insecurity? A meta-analytic review”, Applied Psychology, 57(2), 272-303.
- Chirumbolo A. (2003), “L’impatto dell’insicurezza lavorativa sul benessere dei lavoratori e sugli atteggiamenti verso l’organizzazione”, Rassegna di Psicologia, 20, 63-79.
- De Cuyper N., E. Baillien e H. De Witte (2009), “Job insecurity, perceived employability and targets’ and perpetrators’ experiences of workplace bullying”, Work & Stress, 23(3), 206-224.
- De Witte H. (2005). “Job insecurity: Review of the international literature on definitions, prevalence, antecedents and consequences”, South African Journal of Industrial Psychology, 31(4), 1-6.
- De Witte H., T. Vander Elst e N. De Cuyper (2015), “Job insecurity, health and well-being”. In J. Vuori, R. Blonk e R. H. Price (Eds.), Sustainable Working Lives: Managing Work Transitions and Health Throughout the Life Course, 109-128, New York, Springer.
- De WitteH., J. Pienaar e N. De Cuyper (2016). “Review of 30 years of longitudinal studies on the association between job insecurity and health and well-being: is there causal evidence?” Australian Psychologist, 51(1), 18-31.
- Greenhalgh L. e Z. Rosenblatt (2010), “Evolution of research on job insecurity”, International Studies of Management and Organization, 40(1), 6-19.
- Lee C., G.-H. Huang e S. J. Ashford (2018), “Job insecurity and the changing workplace: Recent developments and the future trends in job insecurity research”, Annual Review of Organizational Psychology and Organizational Behavior, 5(1), 335-359.
- Sverke M., J. Hellgren, K. Näswall, A. Chirumbolo, H. De Witte e S. Goslinga (2004), Job insecurity and union membership: European unions in the wake of flexible production, Brussels, P.I.E.-Peter Lang.
- Sverke M., Låstad, J. Hellgren, A. Richter e K. Näswall (2019), “A Meta-Analysis of Job Insecurity and Employee Performance: Testing Temporal Aspects, Rating Source, Welfare Regime, and Union Density as Moderators”, International Journal of Environmental Research and public Health, 16(14), 2536.