Apprendistato
Definizione
L’apprendistato è un contratto volto a facilitare il passaggio scuola-lavoro dei giovani. Gli apprendisti ricevono una formazione professionale mirata a migliorare le loro competenze professionali, mentre i datori di lavoro sono compensati con costi salariali più bassi e sgravi fiscali. L’attuazione del regime di apprendistato ha seguito percorsi diversi in Europa (Eichhorst et al., 2015). In alcuni paesi, come la Francia, esso è integrato nel sistema educativo e si focalizza su una formazione teorica ricevuta nelle scuole e negli istituti certificati. In altri paesi, come la Germania, il cosiddetto “sistema duale” integra il contratto di apprendistato nel sistema educativo, ma una grande importanza è riservata alla formazione sul posto di lavoro (Fersterer et al., 2008; Pischke e von Wachter, 2008; Dustmann e Schonberg, 2009).
Negli ultimi due decenni, molti paesi, tra cui l’Italia hanno riformato i loro regimi di apprendistato prendendo il sistema duale come esempio (Woessmann, 2008; Hogarth et al., 2009). Nel 2003 la Riforma Biagi ha modificato cosi la componente formativa consentendo alle imprese di svolgere parte della formazione sul posto di lavoro, anziché solo in istituti esterni. È stato inoltre introdotto un salario minimo per la retribuzione degli apprendisti.
Lo studio
In un articolo di recente pubblicazione, Albanese et al. (2019) hanno valutato l’effetto della riforma del 2003 sulla carriera degli apprendisti. Grazie all’utilizzo di dati particolarmente ricchi dagli archivi INPS, i ricercatori hanno potuto stimare l’impatto della riforma confrontando la carriera di apprendisti simili in numerose dimensioni, ma assunti in regimi diversi. Infatti, dal 2005 al 2011 due regimi di apprendistato, Biagi e Treu, sono coesistiti dovuto a un’attuazione eterogenea della riforma Biagi sul territorio e nei diversi contratti collettivi nazionali (Figura 1).
Figura 1. Tempi di attuazione regionale della riforma fino al primo trimestre
La riforma sembra aver migliorato le prospettive di carriera degli apprendisti. In primo luogo, ha ridotto la probabilità di abbandono precoce degli apprendisti nei primi quattro anni (Figura 2A) e ha aumentato le possibilità di ottenere un contratto a tempo indeterminato al termine dell’apprendistato (Figura 2B). I dati suggeriscono che le aziende hanno avuto un maggiore interesse a mantenere i giovani dopo la fine del contratto, poiché la maggior parte degli effetti deriva dalle trasformazioni all’interno della stessa azienda (Figura 2C). Questo potrebbe essere dovuto a un miglioramento delle competenze aziendali specifiche degli apprendisti grazie alla formazione ricevuta sul posto di lavoro. Inoltre, l’introduzione del salario minimo previsto dalla riforma potrebbe anche aver ridotto l’incentivo delle aziende ad assumere apprendisti solo per avere manodopera a basso costo.
Figura 2. Effetto in punti percentuali sulla quota di giovani in: (A) il contratto di apprendistato iniziale, (B) un contratto a tempo indeterminato, (C) un contratto a tempo indeterminato nella stessa azienda
Nota: Asse Y: Effetto in punti percentuali, asse X: mesi dall’assunzione
In secondo luogo, si osserva un effetto positivo sul salario giornaliero degli apprendisti (Figura 3). Mentre l’effetto nei primi anni non è sorprendente, poiché il nuovo contratto di apprendistato ha introdotto un salario minimo, osserviamo anche un impatto di circa il 5% sette anni dopo l’assunzione iniziale, dunque oltre la durata massimale del contratto. Questo effetto è coerente con l’ipotesi che la formazione sul posto di lavoro abbia facilitato l’acquisizione di competenze e di capitale umano rilevanti per le aziende.
Figura 3. Effetti sui salari giornalieri (%)
Nota: Asse Y: Effetto in percentuale, asse X: mesi dall’assunzione
Riferimenti bibliografici
- Albanese A., L. Cappellari, M. Leonardi (2019), “The Effects of Youth Labor Market Reforms: Evidence from Italian Apprenticeships. Forthcoming”, Oxford Economic Papers, First Online, 27 September 2019.
- Eichhorst W., N. Rodriguez-Planas, R. Schmidl e K. F. Zimmermann (2015), “A roadmap to vocational education and training in industrialized countries”, ILR Review, 68, 314–37.
- Woessmann L. (2008), “Efficiency and equity of European education and training policies”, International Tax and Public Finance, 15, 199–230.
- Hogarth T., M. de Hoyos, L. Gambin, R.A. Wilson e A. Brown (2009), “Initial Vocational Education and Training (IVET) in Europe: Review”, CEDEFOP, European Centre for the Development of Vocational Training, Thesaloniki.
- Fersterer J., J.-S. Pischke e R. Winter-Ebmer (2008), “Returns to apprenticeship training in Austria: evidence from failed firms”, Scandinavian Journal of Economics, 110, 733–53.
- Pischke, J.S. e T. von Wachter (2008), “Zero returns to compulsory schooling in Germany: evidence and interpretation”, Review of Economics and Statistics, 90, 592–8.
- Dustmann, C. e U. Schonberg, (2009), “Training and union wages”, Review of Economics and Statistics, 91, 363–76.
Suggerimenti di lettura
- Cahuc P. e J. Hervelin (2020), “Apprenticeship and Youth Unemployment”, IZA Discussion Papers 13154. Institute for the Study of Labor (IZA), Bonn.
- Picchio M. e S. Staffolani (2019), “Does apprenticeship improve job opportunities? A regression discontinuity approach”, Empirical Economics, 56, 23–60.
- Riphahn, R. T. e M. Zibrowius (2016), “Apprenticeship, vocational training, and early labor market outcomes – evidence from East and West Germany”, Education Economics, 24 (1), 33–73.
- Wolter S. C. e P. Ryan (2011), “Apprenticeship”, The Handbook of the Economics of Education, 3, 521–576.
* Questo contributo si basa largamente su articolo pubblicato su Lavoce.info il 13 giugno 2017. Link