Glossario

Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Glass ceiling

Scritto da: Salvatore Lattanzio

 

Definizione

Prende il nome di glass ceiling o “soffitto di cristallo” quel fenomeno che preclude alle donne l’accesso alle posizioni apicali in ambito lavorativo, politico e sociale. Con lo stesso termine si indica un divario salariale di genere che è maggiore nei percentili più alti della distribuzione dei salari rispetto alla mediana (Albrecht et al., 2003). Collegato al glass ceiling è il cosiddetto sticky floor o “pavimento vischioso”, ossia una situazione in cui le donne tendono ad essere relegate a mansioni meno remunerative, seppure inquadrate formalmente nella stessa categoria occupazionale degli uomini (Booth et al., 2003). Si parla di sticky floor anche in presenza di un divario salariale di genere maggiore in corrispondenza dei percentili più bassi della distribuzione dei salari rispetto alla mediana (Arulampalam et al., 2007).

Il glass ceiling è un fenomeno documentato in numerosi paesi avanzati: Arulampalam et al. (2007) ne studiano la presenza in undici paesi europei. In Italia, Piazzalunga e Di Tommaso (2019) ne documentano la presenza negli anni successivi alla Grande Recessione. Blau e Kahn (2017) e Goldin (2014) mostrano la presenza del soffitto di cristallo negli Stati Uniti e, inoltre, evidenziano come la convergenza verso una maggiore uguaglianza di genere sia stata più lenta al top della distribuzione rispetto alla media e mediana. L’evidenza non si ferma alla sola dimensione dei redditi di lavoro. Atkinson et al. (2018) studiano la presenza femminile nei percentili più ricchi della distribuzione dei redditi totali (di lavoro e non) in otto paesi europei ed extra-europei, evidenziando come la percentuale di donne al top della distribuzione sia, seppur crescente negli anni, minoritaria rispetto a quella degli uomini.

In ambito accademico, Blau et al. (2014) mostrano che la presenza delle donne si fa più rara man mano che si sale nella gerarchia delle promozioni: le donne costituiscono, infatti, la maggioranza degli assistant professor, ma la netta minoranza dei full professor negli Stati Uniti.

Sebbene in questa nota il focus sarà principalmente sul mercato del lavoro, è opportuno evidenziare come il glass ceiling non sia un fenomeno limitato alla sola sfera del lavoro. In ambito politico, un esempio di glass ceiling è testimoniato dalla difficoltà con cui le donne accedono alla carriera politica e con cui progrediscono in essa: i dati EIGE evidenziano che meno di un terzo dei membri dei parlamenti nazionali dell’Unione Europea a 28 stati è composto da donne. Proporzioni che sono ancora più basse se si guarda al numero di donne ministro, presidenti del consiglio o capi di Stato (per un focus sull’Italia, si veda Casarico e Del Boca, 2018).

 

Le fonti dati in Italia

La misurazione del glass ceiling nel mercato del lavoro è possibile sia sulla base di indagini campionarie che di dati amministrativi.

Le principali rilevazioni campionarie disponibili sono: l’indagine sulle forze di lavoro condotta da Istat e disponibile a partire dal 1977; l’indagine sul reddito e le condizioni di vita (EU-SILC), condotta da Istat per Eurostat e disponibile dal 2004 (per il periodo 1994-2003 è disponibile la European Community Household Panel, ECHP); l’indagine sui bilanci delle famiglie italiane, condotta dalla Banca d’Italia e disponibile a partire dal 1977.

Le indagini campionarie, per quanto rappresentative, potrebbero tuttavia non catturare i redditi dei lavoratori al top della distribuzione. Per questa ragione e anche per la loro più diffusa disponibilità negli anni più recenti, le basi dati amministrative sono state utilizzate in misura sempre più frequente per lo studio dei divari genere e del glass ceiling. I principali dati amministrativi sono le dichiarazioni fiscali o i dati Inps. Questi ultimi sono disponibili previa presentazione di un progetto di ricerca nell’ambito del programma di ricerca VisitInps. Un campione dei dati Inps è anche accessibile attraverso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (LoSaI, Longitudinal Sample Inps). Il campione longitudinale copre circa il 7 per cento della popolazione dei lavoratori del settore privato italiano tra il 1985 e il 2016, ossia all’incirca un milione di individui ogni anno.

 

Evidenza sul settore privato italiano

Sulla base del campione di dati Inps è possibile fornire un’evidenza descrittiva sul glass ceiling nel mercato del lavoro italiano. La Figura 1 mostra il gender pay gap lungo la distribuzione dei salari per il 1985 e il 2016. Per ogni percentile della distribuzione, il grafico mostra la differenza percentuale tra i salari maschili e femminili rispetto a quelli maschili. La misura di salario adottata è il salario giornaliero full-time equivalent. Il grafico mette in luce come il divario di genere nei salari sia presente e persistente in ogni punto della distribuzione, anche se minore nel 2016 rispetto al 1985. In entrambi gli anni è però evidente la crescita del divario ai percentili più alti della distribuzione. A titolo esemplificativo, il gender pay gap è pari al 9,4 percento alla mediana nel 2016, ma cresce fino al 20 percento al novantacinquesimo percentile. Le differenze erano ancora più marcate nel 1985: a un gender pay gap mediano del 17,5 percento corrispondeva un valore pari al 30 per cento al novantacinquesimo percentile. Inoltre, la curva del divario salariale di genere mostra anche un incremento nella parte inferiore della distribuzione, soprattutto nel 1985, almeno fino al venticinquesimo percentile, un fenomeno che Arulampalam et al. (2007) hanno definito sticky floor. Infine, non sembra esserci evidenza di una convergenza più lenta tra i salari maschili e femminili al top della distribuzione rispetto alla mediana, come suggerito per gli Stati Uniti da Goldin (2014). Anzi, sembra vero il contrario: la diminuzione del gender pay gap è stata maggiore al di sopra del novantesimo percentile rispetto alla mediana.

 

Figura 1. Divario di genere lungo la distribuzione dei salari, 1985 e 2016

Note: Elaborazione dell’autore su dati Inps.

 

Determinanti del soffitto di cristallo

I fattori che determinano la presenza del glass ceiling sono molteplici. Il divario di genere nei salari e l’assenza delle donne nelle posizioni di vertice è stata spiegata, inizialmente, come il risultato dei diversi tassi di istruzione maschili e femminili. Tuttavia, oggi le donne hanno tassi di istruzione più elevati (Goldin et al., 2006), eppure pagano ancora una penalità rispetto ai colleghi maschi. Le scelte di istruzione possono comunque ancora giocare un ruolo, data la scarsa presenza di donne nei percorsi formativi con migliori prospettive di guadagno, per esempio, nelle materie scientifiche. Tuttavia, anche da questo punto di vista, le donne hanno fatto progressi e i corsi di laurea in materie scientifiche presentano una minore segregazione di genere rispetto al passato (Blau et al., 2014). Seppure un ruolo delle scelte formative non possa essere escluso, è molto probabile che la loro importanza nello spiegare il glass ceiling sia minore oggi rispetto agli anni passati.

Albrecht et al. (2003) ipotizzano che la presenza del soffitto di cristallo possa essere il risultato della cosiddetta discriminazione statistica, ossia quel tipo di discriminazione originata dal fatto che le imprese deducono la produttività di un lavoratore sulla base della sua appartenenza a un gruppo. Il fatto che le donne siano più soggette a interruzioni di carriera spingerebbe i datori di lavoro a relegarle in posizioni lavorative che hanno meno probabilità di generare una promozione, per non sopportare il maggior costo futuro di dover rimpiazzare la lavoratrice nel momento in cui dovesse lasciare il lavoro, seppur temporaneamente. La disponibilità di un congedo parentale generoso potrebbe rafforzare questo meccanismo. D’altra parte, le interruzioni di carriera, legate alla nascita e alla cura dei figli (o degli anziani), possono generare una perdita di capitale umano che risulta poi determinante al momento di una eventuale promozione futura. Interiorizzare questa possibilità può inoltre generare quello che si definisce self-fulfilling equilibrium, se le donne decidono di investire meno nell’accumulo di capitale umano nell’anticipazione di minori opportunità future di carriera (Albrecht et al., 2015).

Goldin (2014) sottolinea invece come la minore disponibilità a lavorare ore “più lunghe” e inusuali possa essere alla base della scarsa presenza delle donne al top della distribuzione dei salari. Da un lato, le donne potrebbero domandare maggiore flessibilità oraria, per via del fatto che, ancora oggi, esse svolgono gran parte del lavoro domestico; dall’altro lato, le imprese possono essere disponibili a offrire diversi gradi di flessibilità oraria a seconda della loro attività e del settore in cui operano. Le donne potrebbero pertanto “scegliere” di lavorare solo nelle imprese che offrono un grado di flessibilità adeguato alle proprie esigenze, anche rinunciando a maggiori salari o possibilità di carriera. Allo stesso tempo, la disponibilità a lavorare più ore potrebbe segnalare un maggiore impegno sul posto di lavoro: un segnale che i datori di lavoro potrebbero utilizzare per discriminare statisticamente donne e uomini.

La scelta di lavorare in settori, imprese o occupazioni che garantiscono un maggiore bilanciamento tra prerogative familiari e lavorative – probabilmente meno orientati alla progressione di carriera – può dipendere anche da una minore propensione al rischio e una disutilità derivante dal trovarsi in ambienti competitivi, documentata in numerosi studi sperimentali (si veda Azmat e Petrongolo, 2014, per una rassegna della letteratura). La minore propensione al rischio e alla competizione può tradursi anche in minore potere negoziale quando si arriva alla fase della contrattazione salariale. Casarico e Lattanzio (2019) documentano come differenze nel potere contrattuale di uomini e donne nella negoziazione dei salari spiegano una parte maggiore del divario salariale al top della distribuzione rispetto alla mediana.

In sintesi, è una combinazione di fattori dal lato della domanda e dell’offerta di lavoro a determinare la presenza e la persistenza del glass ceiling. Il cambiamento culturale sui ruoli di genere nella società potrebbe portare all’abbattimento del soffitto di cristallo, a completamento di un percorso di convergenza già in atto, ma lungi dall’essere terminato.

 

Riferimenti bibliografici

  • Albrecht J., A. Björklund, e S. Vroman (2003), “Is There a Glass Ceiling in Sweden?”, Journal of Labor Economics, 21 (1), 145–177.
  • Albrecht J., P. S. Thoursie e S. Vroman (2015), “Parental Leave and the Glass Ceiling in Sweden”, Gender Convergence in the Labor Market, 3, 89–114.
  • Arulampalam W., A. L. Booth e M. L. Bryan (2007), “Is There a Glass Ceiling over Europe? Exploring the Gender Pay Gap across the Wage Distribution”, ILR Review, 60 (2), 163–186.
  • Atkinson A. B., A. Casarico e S. Voitchovsky (2018), “Top incomes and the gender divide”, Journal of Economic Inequality, 16, 225–256.
  • Azmat G. e B. Petrongolo (2014), “Gender and the Labor Market: What Have We Learned from Field and Lab Experiments?”, Labour Economics, 30 (C), 32–40.
  • Booth A. L., M. Francesconi, e J. Frank (2003), “A Sticky Floors Model of Promotion, Pay, and Gender”, European Economic Review, 47 (2), 295–322.
  • Casarico A. e D. Del Boca (2018), “Poco rosa nel governo Conte.” lavoce.info.
  • Casarico A., e S. Lattanzio (2019), “What Firms Do: Gender Inequality in Linked Employer-Employee Data”, Cambridge Working Papers in Economics 1966, Faculty of Economics, University of Cambridge.
  • Goldin C. (2014), “A Grand Gender Convergence: Its Last Chapter”, American Economic Review, 104 (4), 1091–1119.
  • Piazzalunga D. e M. L. Di Tommaso (2019), “The increase of the gender wage gap in Italy during the 2008-2012 economic crisis”, Journal of Economic Inequality, 17, 171–193.

 

Suggerimenti di lettura

  • Marianne B. (2011), “New Perspectives on Gender”, in O. Ashenfelter e D. Card (a cura di), Handbook of Labor Economics, Volume 4 (17) 1543–1590, Elsevier.
  • Blau F. D. e L. M. Kahn (2017), “The Gender Wage Gap: Extent, Trends, and Explanations”, Journal of Economic Literature, 55(3), 789–865.
  • Blau F. D., M. A. Ferber e A. E. Winkler (2014), The Economics of Women, Men, and Work, Seventh edition, Upper Saddle River, NJ, Pearson.
  • Goldin C., L. F. Katz e I. Kuziemko (2006), “The Homecoming of American College Women: The Reversal of the College Gender Gap”, Journal of Economic Perspectives, 20 (4), 133–156.
  • Ponthieux S. e D. Meurs (2015), “Gender Inequality”, in A. B. Atkinson e F. Bourguignon (a cura di), Handbook of Income Distribution, Volume 2 (12) 981–1146, Elsevier.
Salvatore Lattanzio
Salvatore Lattanzio sta svolgendo un dottorato di ricerca in economia all'Università di Cambridge. Si interessa di temi legati alla disuguaglianza nel mercato del lavoro. Ha conseguito la laurea magistrale in Economic and Social Sciences, e precedentemente la laurea triennale in Economia e Finanza, presso l’Università Bocconi.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena