Glossario

Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Condizionalità

Scritto da: Matteo D'Emilione

 

Definizione

Negli ultimi decenni i sistemi di welfare occidentale hanno sviluppato in maniera diversa e con differente intensità meccanismi condizionali nell’erogazione di alcune prestazioni di protezione sociale, in particolare quelle rientranti negli schemi di reddito minimo, ma non solo (Busilacchi, 2014). Si è diffusa, dunque, la pratica di richiedere ai beneficiari di misure di protezione delle controprestazioni a fronte di contributi economici/trasferimenti monetari e servizi ricevuti, prevedendo l’erogazione di sanzioni in caso di mancato rispetto di determinate condizioni. A seconda delle situazioni, il ventaglio di controprestazioni richieste al beneficiario può spaziare dall’impegno alla ricerca attiva di un lavoro, al mantenimento di contatti stabili con i servizi per il lavoro o i servizi sociali, fino all’adozione di determinati comportamenti per l’individuo o per i componenti del suo nucleo familiare (garantire la frequenza scolastica dei figli, curare la propria salute, ecc.).

È bene precisare come accanto all’evoluzione di quelli che potremmo definire veri e propri ‘welfare conditionality state’ nel contesto europeo, come nel caso della Gran Bretagna, è nei paesi in via di sviluppo che attraverso i cd ‘Conditional Cash Transfers’ (CCTs) si è potuto sperimentare massivamente l’utilizzo della condizionalità. In molti paesi dell’America Latina, in particolare, il ricorso a tali programmi riveste oggi un’importanza assolutamente significativa sia in termini finanziari (risorse economiche ad essi dedicati) sia in termini di popolazione coperta (Cecchini e Atuesta, 2017). Ed è proprio in tali contesti che è stato possibile iniziare a valutare con relativa precisione i reali effetti dell’utilizzo della condizionalità (Cecchini e Maderiaga, 2012), mettendone in risalto i limiti soprattutto nell’utilizzo stringente e rigido nei confronti dei beneficiari più fragili e vulnerabili. Nel contesto europeo, come accennato, la Gran Bretagna è far i paesi dove con più intensità si dibatte sul corretto utilizzo della condizionalità e delle sanzioni ad essa associate. Da lungo tempo e con sempre più evidenze a disposizione, infatti, è in corso un acceso confronto non solo sulla capacità di un tale approccio di influenzare (positivamente) i comportamenti dei beneficiari di prestazioni di welfare, ma anche sulla legittimità stessa di un utilizzo stringente e severo di meccanismi condizionali che possono indurre a identificare i beneficiari che non riescono a rispettare gli impegni presi come individui criminali e fraudolenti (Webster, 2019).

Non è facile individuare in maniera precisa la genesi e i fondamenti di tale approccio, ma la letteratura e l’evidenza empirica a disposizione ci permettono di stabilire alcune ‘coordinate’ entro cui l’espressione condizionalità trova la sua ragion d’essere. Un primo riferimento è quello contrattualistico (o ‘contrattualismo’), secondo cui i diritti portano responsabilità e doveri in capo all’individuo e, dunque, se tra Stato e cittadino si firma un patto, gli impegni in esso previsti devono essere rispettati. L’evidente asimmetria di potere tra i due firmatari crea, tuttavia, una situazione di disequilibrio nella quale il beneficiario di una prestazione di welfare può essere sanzionato (e dunque punito) se non rispetta un impegno (ad esempio, non si presenta ad un incontro di orientamento) ma lo stesso non avviene nel caso l’inadempimento avvenga da parte dell’amministrazione. Un secondo riferimento importante che aiuta a comprendere l’esigenza di puntare sull’approccio condizionale da parte dei sistemi di welfare è quello dell’attivazione. Si tratta di un paradigma che ha acquisito un peso crescente nelle politiche di contrasto alla povertà proprio in ambito europeo (Bolzoni e Grenaglia, 2018) e che prevede l’opportunità che al beneficiario siano forniti competenze e risorse per diventare autonomi, vincolando il suo comportamento con l’obiettivo di trovare un’attività lavorativa (c.d. workfare) e uscendo cosi dal sistema di assistenza pubblico. L’esigenza di attivare l’individuo ha tra le sue giustificazioni non solo quello di puntare all’inclusione attiva della persona cosi come indicato dallo stesso approccio dell’Unione Europea, ma anche quella di evitare che l’individuo stesso sviluppi la c.d. dipendenza da welfare (o welfare dependency), fenomeno dibattuto su cui tuttavia le posizioni in ambito scientifico sembrano non convergere (Baird e altri, 2018). Come considerazione generale, l’esigenza di condizionare i comportamenti di qualcuno in stato di disoccupazione o povertà (o entrambi), cosi come la necessità di attivarlo per paura che diventi nel lungo periodo dipendente dai sussidi ricevuti è indice, in taluni contesti, di una visione dell’individuo vulnerabile secondo categorie che attribuiscono un diverso valore sociale alle persone: quelle meritevoli di ricevere aiuto dallo Stato e quelle non meritevoli.

Come accennato inizialmente, il concetto di condizionalità prevede in caso di mancato rispetto delle condizioni l’erogazione di sanzioni, dalla sospensione temporanea del beneficio fino alla fuoriuscita definitiva dal sistema di welfare in caso di ripetute violazioni o inadempimenti. È interessante notare come anche sull’efficacia delle sanzioni non vi sia ad oggi una visione univoca: nel caso della popolazione in stato di disoccupazione è stato studiato come, in alcuni casi, le sanzioni possano agire da stimolo nel trovare un’occupazione la quale, tuttavia, si rileva di peggiore qualità e con salario più basso (Arni e altri, 2009).

 

L’applicazione della condizionalità in Italia

Nel contesto italiano l’utilizzo della condizionalità e delle sanzioni ad essa associate è una questione che solo recentemente si è iniziata ad approfondire. Pur essendo un approccio da tempo presente nell’ambito delle politiche attive del lavoro, fin dal decreto legislativo n.181 del 2000 (Disposizioni per agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro) nel quale erano esplicitamente menzionati una serie di obblighi in capo all’individuo in carico ai servizi pubblici per l’impiego, la mancanza di dati a disposizione (assenza di un sistema di monitoraggio specifico) e della messa a regime di un sistema di servizi adeguato ha, probabilmente, influito sulla scarsa attenzione posta al tema. Negli ultimi anni, tuttavia, il sistema di welfare si è dotato di misure come la NASPI (indennità di disoccupazione) o come il Reddito di Inclusione (REI) e il Reddito di cittadinanza (RDC) caratterizzate da un progressivo intensificarsi degli impegni in capo ai beneficiari e delle sanzioni previste (D’Emilione, 2018), generando interesse scientifico sul funzionamento della condizionalità ed i suoi effetti con un approccio multidisciplinare (Marocco, Spattini 2019). In termini più operativi, il recente rapporto di Alleanza contro la povertà sull’attuazione del Reddito di Inclusione (Alleanza contro la povertà, 2019) ha messo in evidenza come l’applicazione della condizionalità da parte del sistema dei servizi sociali e di quelli per l’impiego, da un lato abbia rappresentato (in alcuni casi) uno stimolo per i soggetti attuatori e per i beneficiari della misura, dall’altro, il mancato rispetto degli impegni da parte dei beneficiari è stato valutato come evento raro. Inoltre, la mancata messa a regime della misura e le difficoltà (carenze strutturali) del sistema dei servizi per l’impiego ha, di fatto, impedito che si desse reale seguito alle sanzioni previste nei pochi casi rilevati.

 

Riferimenti bibliografici

  • Alleanza Contro la povertà (2019), “Reddito di inclusione. Un bilancio”. Ed Maggioli.
  • Arni P., R. Lalive e J.C. Van Ours (2013), “How effective are unemployment benefit sanctions? Looking beyond unemployment exit”, Journal of applied econometrics, 28(7), 1153-1178.
  • Bolzoni M. e E. Granaglia (2018), “Attivazione di politiche e contrasto alla povertà”, Social cohesion papers - Quaderni della coesione sociale, 01/2018.
  • Busilacchi G. (2014), Welfare e diritto al reddito. Le politiche di reddito minimo nell’Europa a 27, Ed. Franco Angeli.
  • Baird S. et al (2018), “The Effects of Cash Transfers on Adult Labor Market Outcomes Policy”, Research Working Paper, 8404, World Bank.
  • Cecchini S. e Madariaga A. (2011), “Conditional cash transfer programmes: the recent experience in Latin America and the Caribbean”, Naciones Unidas Comisión Económica para América Latina y el Caribe (CEPAL), https://EconPapers.repec.org/RePEc:ecr:col111:27855.
  • Cecchini S. e B. Atuesta (2017), “Conditional cash transfer programmes in Latin America and the Caribbean: Coverage and investment trends”, ECLAC series.
  • D’Emilione (2018), “Prove di welfare condizionale nelle misure di sostegno al reddito”, agosto 2018 in Osservatorio Welforum (www.welforum.it).
  • Marocco M. e S. Spattini (2019), “Diritto al lavoro, contrasto alla povertà, politica attiva, inclusione sociale: le tante (troppe?) funzioni del reddito di cittadinanza all’italiana. Primo commento al d.l n. 4/2019”, Adapt labour studies, e-Book series 79.
  • Webster D. (2019), “Benefit sanctions, social citizenship and the economy”, Local Economy, 34(3), 316–326.

 

Suggerimenti di lettura

  • Ervik R., N. Kildal e E. Nilssen (2015), New Contractualism in European Welfare State Policies.
  • Fletcher D. R. e S. Wright (2018), “A hand up or a slap down? Criminalising benefit claimants in Britain via strategies of surveillance, sanctions and deterrence”, Critical Social Policy, 38(2), 323–344.
  • Grover C. (2012), “‘Personalised conditionality’: Observations on active proletarianisation in late modern Britain”, Capital & Class, 36(2), 283–301.
  • Leone L. a cura di (2015), Trasferimenti monetari condizionali per il contrasto della povertà infantile e l’inclusione sociale: una review realista sui paesi dell’area OCSE. Link.
  • Progetto di ricerca Welfare Conditionality: www.welfareconditionality.ac.uk.
Matteo D'Emilione
Matteo D'Emilione è ricercatore presso la Struttura Inclusione sociale dell'Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP). Ha condotto studi e ricerche sui temi delle misure di contrasto alla povertà a livello nazionale, sulla misurazione della povertà come fenomeno multidimensionale e sulla pianificazione sociale a livello locale. Negli ultimi anni ha approfondito la questione dell'integrazione tra servizi sociali e servizi per l'impiego nell'ambito dell'attuazione del Reddito di Inclusione (REI) e del Reddito di Cittadinanza (RDC).

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena