Working poor
Definizione*
I working poor, o in-work poor, sono individui che pur lavorando si trovano di fatto in una condizione di povertà. Nel 2002 Eurofund realizzò uno dei primi studi sulla relazione tra occupazione e povertà a livello europeo (Eurofund, 2002). Tale pubblicazione evidenziò che l’attivazione sul mercato del lavoro non fosse condizione sufficiente per evitare la povertà. Ciò mise in luce l’inadeguatezza di alcune strategie implementate a livello nazionale per ridurre la povertà, le quali scommettevano quasi esclusivamente sull’occupazione per risolvere il problema. L’anno successivo l’Unione Europea (UE) formalizzò l’obiettivo di ridurre il numero di lavoratori poveri inserendolo tra quelli già fissati dalla “Strategia europea per l’occupazione”. Con il fine di monitorare il progresso in questa direzione, l’Eurostat costruì un indicatore ad-hoc, il cosiddetto in-work at-risk-of-poverty rate o più semplicemente in-work poverty (IWP). L’IWP è la percentuale di lavoratori che sono poveri. In particolare, l’Eurostat definisce un individuo in-work poor se (i) dichiara di essere stato occupato almeno per 6 mesi nell’anno di riferimento e (ii) vive in un nucleo familiare a rischio di povertà, cioè che gode di un reddito disponibile inferiore al 60% del reddito mediano equivalente. La popolazione di riferimento sono gli individui di età compresa tra i 18 e 64 anni. Ad oggi questo è l’indicatore di riferimento per il monitoraggio dei working poor nell’UE.
Evoluzione dell’IWP nella zona euro
Nel 2005 l’IWP nella zona euro era in media pari al 7,5%, sebbene con significative differenze tra i paesi membri (Figura 1). In particolare, in Italia la percentuale di in-work poor era pari al 8,8%. Già a quel tempo era quindi evidente il problema legato all’esistenza di lavoratori poveri. È solo negli anni successivi, tuttavia, che i riflettori sono stati puntati sul tema.
Figura 1. Tasso di IWP (valori percentuali). Anni 2005-2018
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
L’IWP continuava a crescere e dopo la crisi del 2007/2008 la situazione deteriorò ulteriormente. Tra il 2005 e il 2018 l’IWP è cresciuto in media di 2,4 punti percentuali, arrivando al 9,2% nel 2018. Nello stesso anno la percentuale di lavoratori poveri in Italia ha raggiunto il 12,3%. Il nostro paese è tra quelli che hanno registrato la crescita più marcata dell’indicatore in quanto tra i paesi maggiormente colpiti dalla crisi economica e finanziaria e successivamente dalla crisi dei debiti sovrani. Per le stesse ragioni anche in Spagna l’IWP è cresciuto considerevolmente nel periodo considerato (2,4 punti percentuali). È interessante sottolineare il caso della Germania dove l’indicatore è aumentato di ben 4,2 punti percentuali. In questo paese tra i fattori che hanno contribuito a tale crescita si sottolinea la diffusione dei cosiddetti “mini-jobs”, contratti di lavoro atipico caratterizzati da una retribuzione massima di 450€ al mese. Tali tipologie contrattuali sono state utilizzate soprattutto dopo il 2008 come ripiego per sopperire alle difficoltà finanziarie emerse per effetto della crisi.
Quali sono le determinanti dell’IWP?
In base alla definizione Eurostat, il concetto di IWP è una combinazione di due elementi (Barbieri et al., 2018). Il primo fa riferimento alla situazione lavorativa dell’individuo, il secondo invece al grado di povertà in cui versa il nucleo familiare di riferimento. Ne consegue che i fattori che determinano l’IWP sono relativi sia alle caratteristiche socio-demografiche del lavoratore, incluso il livello di istruzione, il paese di origine, l’età, il genere, ma anche le caratteristiche del lavoro svolto, sia alla composizione del nucleo familiare. L’Eurostat mette a disposizione informazioni disaggregate sull’IWP con le quali è possibile identificare le caratteristiche individuali e familiari dei segmenti della popolazione più vulnerabili. Presentiamo alcune di queste statistiche per l’aggregato della zona euro rimandando il lettore alla pubblicazione di riferimento per ulteriori dettagli (Peña-Casa et al., 2019).
L’incidenza dell’IWP varia considerevolmente tra lavoratori con diversi livelli di istruzione (Tabella 1). In particolare, l’IWP diminuisce all’aumentare del grado di istruzione ed è più di quattro volte superiore per le persone con istruzione primaria (o inferiore) rispetto a quelle con almeno un diploma universitario. Un’altra discriminante che pesa significativamente sul rischio di povertà di un lavoratore è il paese di origine. Per gli stranieri l’IWP è più del doppio rispetto a quello degli autoctoni, anche se lo scarto si riduce per i lavoratori nati in uno dei paesi aderenti all’UE. Con riferimento alle caratteristiche del lavoro svolto, non sorprende il fatto che lavoratori con un contratto a tempo indeterminato e quelli con un’occupazione a tempo pieno siano meno soggetti al rischio di povertà.
Tabella 1. Tasso di IWP per caratteristiche individuali nell’Eurozona. Anno 2018
Livello di istruzione | % |
Primaria | 19,7 |
Secondaria | 9,1 |
Terziaria | 5,2 |
Paese di origine | % |
Nativi | 8,1 |
Stranieri | 20,1 |
Intra-EU | 15,2 |
Extra-EU | 24,9 |
Tempi di lavoro | % |
Part-time | 14,0 |
Full-time | 7,6 |
Tipo contratto di lavoro | % |
A tempo determinato | 17,2 |
A tempo indeterminato | 6,2 |
Classe di età | % |
18 - 24 | 11,3 |
25 - 54 | 9,3 |
55 - 64 | 8,2 |
Genere | % |
Uomini | 9,6 |
Donne | 8,9 |
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
L’IWP per classe di età e per genere merita qualche parola in più. Le differenze tra giovani e meno giovani e tra uomini e donne sono inaspettatamente piccole. Ci si attende infatti che giovani e donne siano categorie più esposte a lavori precari e salari più bassi, come documentato estensivamente dalla letteratura di riferimento (ILO, 2020; Blau e Kahn, 2017). È però anche vero che i giovani, soprattutto in Italia, tendono a restare nella famiglia di origine anche una volta occupati risultando dunque meno esposti al rischio di IWP e contribuendo, almeno in parte, al reddito familiare. Similmente le donne occupate sono per la stragrande maggioranza lavoratrici aggiuntive al nucleo familiare.
Quando si va a considerare la composizione del nucleo familiare, emerge infatti che l’IWP è minore per le famiglie più complesse in cui presumibilmente le fonti di reddito da lavoro sono più di una: l’IWP per le famiglie monocomponenti è doppio rispetto a quello delle famiglie composte da due o più adulti (Tabella 2). L’importanza della composizione familiare per l’IWP è confermata dall’evidenza che il rischio di IWP è più alto per le famiglie con minorenni, specialmente per le famiglie mono-genitore.
Tabella 2. Tasso di IWP per composizione del nucleo familiare nell’Eurozona. Anno 2018
Tipologia di nucleo | % |
Single | 13,4 |
Single con minorenni | 27,6 |
Due o più adulti | 6,6 |
Due o più adulti con minorenni | 8,0 |
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat.
Azioni di policy
Le azioni in campo e/o proposte per ridurre il numero di in-work poor sono varie. Si possono distinguere in misure con un impatto diretto sull’IWP e quelle con un impatto indiretto. Tra le prime rientrano gli interventi volti a migliorare la qualità e la remunerazione sul posto di lavoro, i cui effetti possono essere visibili anche nel breve termine. Esempi in questa direzione includono, ma non sono limitati a, la fissazione di un salario minimo, l’alleggerimento delle tasse e dei contributi sociali a carico del lavoratore, l’erogazione di assegni per il nucleo familiare e anche l’introduzione di forme di reddito minimo garantito. Le misure indirette invece tendono a mettere l’accento su temi legati alla famiglia e sull’opportunità di aumentare l’intensità occupazionale delle famiglie. Da questo punto di vista si sottolineano tutte le policy che favoriscono l’attivazione sul mercato delle donne, come per esempio il potenziamento dei servizi all’infanzia e di assistenza agli anziani. La disponibilità e l'accessibilità economica di questi servizi consentirebbe di ridurre il carico familiare che molto spesso grava sulle donne e agevolarne l’entrata nel mercato del lavoro. Gli incentivi alla formazione perseguono obiettivi simili. Forniscono la possibilità ai meno qualificati di diventare più competitivi sul mercato del lavoro ma anche di accedere a posizioni meglio retribuite.
Il mix di azioni implementate varia da paese a paese e non esiste una formula one-size-fits-all per via delle specificità che li caratterizza. È importante notare che le misure adottate non hanno solo lo scopo di ridurre il numero di in-work poor ma anche e soprattutto di diminuire il rischio dei lavoratori di cadere in povertà.
Riferimenti bibliografici
- Barbieri P., G. Cutuli e S. Sherer (2018), “Caratteristiche, dinamiche e persistenza dell'in-work poverty in Italia”, LIW Working Paper Series, 1/2018.
- Blau F.D. e L.M. Kahn (2017), “The Gender Wage Gap: Extent, Trends, and Explanations”, Journal of Economic Literature, 55 (3), 789-865.
- Eurofound (2002), Low Wage Workers and the Working Poor, Lussemburgo, Eurofound.
- ILO (2020), Global Employment Trends for Youth 2020: Technology and the future of jobs, Ginevra, International Labour Office.
- Peña-Casas R., D. Ghailani, S. Spasova e B. Vanhercke (2019), In-work poverty in Europe. A study of national policies, Lussemburgo, Eurostat.
Suggerimenti di lettura
- OECD (2009), “In-Work Poverty: What Can Governments Do?”, OECD Policy Brief, Settembre 2009.
- Spannagel D. (2013), “In-work Poverty in Europe-Extent, Structure and Causal Mechanisms”, COPE Research Paper, Oldenburg, Combating Poverty in Europe. Link.
- Raitano M., M. Jessoula, E. Pavolini e M. Natili (2019), In-work poverty in Italy, Lussemburgo, Eurostat.
* Le opinioni espresse nel documento sono esclusivamente riconducibili alla responsabilità dell’autrice e non riflettono necessariamente quelle di Prometeia.